Alle origini del Nazionalsocialismo

«Gran parte del miscuglio di idee che andò a costituire
l’ideologia nazista era già formato, sotto diverse fogge e a un
diverso grado di intensità, prima della Grande Guerra»
Ian Kershaw

Adolf_Hitler
Adolf Hitler, Cancelliere del III Reich (1933-1945)

Ho sempre visto Adolf Hitler come una specie di mostro dei film o dei racconti dell’orrore. Una “creatura” figlia di un’Europa fatta d’imperi e super potenze, nutritosi del nazionalismo e della politica violenta di quegli anni e, infine, plasmato dalla brutalità della Prima Guerra Mondiale. Hitler incarnò con la sua malvagità la summa delle conseguenze degli accadimenti politici e di correnti di pensiero europeo dell’Ottocento e degli inizi di Novecento.
Quando nel 1925 venne pubblicato il “Mein Kampf” in cui Hitler espose il programma del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori non godette di molta considerazione da parte delle autorità della Repubblica di Weimar e delle diplomazie occidentali.

Mein Kampf
Il “Mein Kampf

Forse perché le idee ivi contenute non erano particolarmente innovative bensì mutuate da tesi espresse molto tempo prima dalla destra radicale europea, dai movimenti xenofobi e antisemiti, dal cristianesimo integralista, dai nazional patriottici e pangermanisti tedeschi e austriaci. In questo senso l’ideologia espressa nel “Mein Kampf”, seguita pedissequamente dai nazisti, rappresentava un effetto degenerativo della cultura occidentale.
Una delle correnti di pensiero che contribuì nel tempo allo sviluppo del nazionalsocialismo fu il pangermanesimo, un movimento sorto in Germania e in Austria nel corso del XIX secolo avente come obiettivo l’unione politica di tutti i popoli di lingua e cultura tedesca.
Il pangermanesimo costruiva le sue basi nel concetto di “Volk”, inteso come individui legati da un’essenza trascendente. Più in particolare, era la coscienza di un determinato popolo nel fatto di essere il risultato di una rappresentazione della natura del luogo stesso in cui vivevano, subendone l’influenza.
Dopo il crollo dell’Impero di Napoleone Bonaparte le organizzazioni pangermaniche diedero vita a diverse fazioni politiche; ebbe la meglio la corrente che sosteneva il progetto di unificazione della Germania sotto la guida della corona prussiana. Infatti, con la sconfitta dei francesi a Sedan nel 1870 il re prussiano Guglielmo I venne incoronato e la Confederazione tedesca divenne un impero iniziando così il Secondo Reich.

Guglielmo I
Guglielmo I, Re di Prussia ed Imperatore di Germania

Un po’ alla volta la relazione concettuale del “Volk” tra la natura del luogo di nascita e le peculiarità caratteriali di un popolo assunse toni differenti. Nella Germania guglielmina di fine Ottocento, infatti, il pangermanesimo ha una veste più marcatamente razzista, con la proclamazione della superiorità della razza tedesca e della necessità del suo dominio su tutta l’Europa centrale ed orientale. Tali idee, unite ad un crescente militarismo, furono alla base del nuovo corso politico di Guglielmo II ed una concausa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Guglielmo II
Guglielmo II,  Imperatore di Germania

La sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale decretò la fine dell’Impero guglielmino ma non del pangermanesimo. Divenne una parte fondamentale delle concezioni politiche di Hitler legandosi al concetto di “spazio vitale” per le popolazioni tedesche, da realizzare attraverso politiche di annessione al Terzo Reich (Austria, Sudeti, Boemia, Moravia). Questo portò allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ed agli orrori dei campi di concentramento.

Mattia Massaro

Don Luigi Janes, cappellano militare ad Arino

Don Luigi Janes nacque a Polcenigo (PN) il 13 giugno 1891, dai

Il cappellano militare Don Luigi Janes
Il cappellano militare Don Luigi Janes

coniugi Giuseppe e Maria Nardi;  è ordinato sacerdote il 9 maggio 1915 e nello stesso anno prese parte, quale cappellano militare dell’8° Reggimento Alpini, Btg. Tolmezzo, alla Grande Guerra.
Per i fatti cui fu protagonista sul Pal Piccolo (Carnia) nei giorni 26 e 27 marzo 1916 fu insignito di una prima Medaglia di Bronzo al Valor Militare con la seguente motivazione: “Si recava volontariamente sul campo della lotta, dove, oltre ad esercitare il proprio ministero, noncurante del pericolo e con spirito di elevata abnegazione, soccorreva i feriti, cooperava a salvataggi e prestava aiuto all’opera degli ufficiali medici“.

A distanza di qualche mese, in occasione degli scontri avvenuti sul Pal Grande (Carnia) il giorno 29 giugno 1916, ricevette una seconda Medaglia di Bronzo per il seguente motivo: “Cappellano militare, in giorni d’intenso bombardamento, frequentemente si portò nei punti più battuti, per l’esercizio del proprio ministero presso i feriti e morenti, sempre sprezzante del pericolo, portando dovunque la sua parola di conforto. Fu anche di forte aiuto nello sgombro dei morti e feriti, prestandosi, ove il bisogno lo richiese, alla prima cura di questi ultimi“.

Comandato poi a prestare la sua opera presso l’Ospedale da campo n. 203 di Pianiga/Arino, di cui si è già accennato in un precedente articolo, egli vi esercitò il mandato fino alla fine del conflitto.
Relativamente all’Ospedale da campo n. 203 non sono molte le informazioni reperite. Una, però, è possibile sottoporla alla vostra attenzione. Si tratta di una cartolina, individuata in internet, spedita a casa da uno dei numerosi degenti che qui vennero ricoverati e che probabilmente si affidarono al conforto cristiano di Don Luigi.

Cartolina spedita il 16 novembre 1918 dall'Ospedale da campo n. 203 di Arino di Dolo
Cartolina spedita il 16 novembre 1918 dall’Ospedale da campo n. 203 di Arino di Dolo

Don Luigi Janes, arciprete di Azzano Decimo
Don Luigi Janes, arciprete di Azzano Decimo

Qualche anno dopo, don Luigi lo si ritrova presso l’arcipretura di Azzano Decimo (PN), di cui aveva preso formale possesso l’8 dicembre 1931; dopo una parentesi lavorativa nel comune azzanese durata un decennio, durante il quale aveva rivestito anche la carica di vicepresidente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Rurale di San Pietro Apostolo – salvo diventarne presidente negli anni ’32-’37 -, Don Luigi Janes venne trasferito nella parrocchia di Teglio Veneto.

Fonti:

http://www.ilpopolopordenone.it

http://www.noialpini.it/cappellani-decorati-15-18.htm

http://www.parrocchiaazzanodecimo.it

http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/#

http://fotoalbum.virgilio.it/ellelory/cartaceo/cartoline-1/tematiche/storiapostale/cartolinaospedaleda.html

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Terruzzin Pietro

La Medaglia d'Argento al Valor Militare Pietro Terruzzin da Vigonovo
La Medaglia d’Argento al Valor Militare Pietro Terruzzin da Vigonovo

Terruzzin Pietro era nato a Vigonovo il 17 agosto 1897 da Valentino e Sanavio Maria; della sua vita da civile si sa poco (il Foglio matricolare deve essere ancora rintracciato) se non che viveva nella casa sita in Via Sarmazza Destra n. 19; contadino di mestiere, sapeva leggere e scrivere. Era fidanzato con Nina.
Alla visita di leva, avvenuta nel 1916, gli venne assegnata la matricola n. 9.939, venendo al contempo inquadrato nel 21° Reggimento Bersaglieri.

La sua storia è stata ricostruita grazie soprattutto al fortunoso salvataggio delle lettere che ricevette la famiglia in tempo di guerra; salvataggio avvenuto all’indomani dell’alluvione del 1966.

Nelle lettere che spediva periodicamente a casa egli faceva riferimento alla possibilità di una prossima partenza, senza però tralasciare il desiderio di rivedere la famiglia, esprimendo nel contempo le difficoltà della vita militare in caserma.
Le notizie sulla partenza si susseguirono per diverse settimane. Pietro, preoccupato, chiedeva spesso ai genitori ed alla sorella di pregare per lui ma non voleva far preoccupare la sua compagna. Giunse intanto il 17 febbraio 1917, ma Pietro non era ancora partito. Ammalatosi in caserma, informò la famiglia sulla sua buona salute, indicando anche il luogo dove si trovava, affinché potessero andare a trovarlo: Ospedale Militare di Riserva di Vicenza – Seminario, 5° Reparto, letto n. 15.

Sabato 12 – 2 – 1917
Miei Cari Genitori son pronto a farvi sapere le mie notisie. Vi facio sapere che per ora mi trovo amalato nel ospitale Militare di riserva a Vicenza come lo saprete per mezo di monegazo
Voi non pensate a niente per conto di me il mio male e la febre gastrica e male alla gola altro non mi alungo a sabato vi bacio tuta intera famiglia vostro figlio Pietro, la mia direzione: al Soldato Terruzzin Pietro ospitale militare di riserva Siminario 5 reparto – lato N° 15 Vicenza

Cartolina spedita da Pietro Terruzzin dall'Ospedale di Vicenza il 12 luglio 1917
Cartolina spedita da Pietro Terruzzin dall’Ospedale di Vicenza il 12 febbraio 1917

Il 20 febbraio del 1917, rimessosi dalla malattia, venne trasferito all’8° Reggimento Bersaglieri, 9a Compagnia, 748a Compagnia Mitraglieri. In tale data egli scrisse nuovamente a casa, chiedendo al padre di poterlo vedere.

I mesi e le settimane si rincorsero, il fronte sembra a tratti vicino e a tratti lontano. Lettere e cartoline si susseguirono nel tempo fino alla lettera del 22 aprile 1917 in cui egli informò casa della prossima possibile partenza per la guerra.

Brescia il 22 – 4 – 1917
Cara Mamma
Con questa mia ti fo sapere che al spuntar della mia partenza mi ha preso un caleio di un mulo cosi tutto sospeso per farmi portare perche la mama e molto grave puo essere certo la mia fortuna non si sa. Può fino darsi che mi fermo ancora anche a casa un paio di giorni. Ieri giorno mi ricevetti le tue lettere con molto piacere intesi la vostra ottima salute a riguardo del vaglia non ho ancora ricevuto. Non mi alungo di più Col salutarti di vero quore e sono tuo figlio Pietro
Fino a nuovo ordine non scrivermi fallo sapere alla Nina
[la fidanzata N.d.A.] sta fuori.
Tranquilla che io mi farò coraggio.
Saluti a tutti

Terruzzin Pietro partì per l’Isonzo ai primi di maggio 1917. Da quel momento i suoi scritti si ridussero drasticamente, anche per via della difficoltà di reperire carta e penna per scrivere. In data imprecisata, ma sicuramente dopo lo schieramento in linea del reparto, egli scrisse la seguente e toccante lettera alla sua ragazza, poi ricopiata dopo la sua morte:

Mia adorata Nina
avendo pottuto di avere un di carta e busta, ecco che ti scrivo qualche cosa sulla mia vita, che so che desideri di sapere.
Nina cara, io lo sai che mi trovo in trincea da più giorni, e sono salvo perché Iddio lo ha voluto. Nina mia, io sono stato ferito leggermente ma se mi prendeva giusto addio Piero, ma non hanno fatto tempo. Cara Nina ti prego, mi rivolgo a te, ti prego di pregare Iddio per me, dimi qualche preghiera per me al Santo di Padova, che la mia divossione e grande, Nina ti scrivo questa lettera, ma non ho boli, perdonami se ti toccherà pagare, ma spero che la riceverai volentieri lostesso. Questa lettera tienila per memoria che l’ho scrita in trincea Nina mia non gredevo che in trincea si avesse da fare tante tribolasione..!..quanta sete quanto sono….le noti che passo qui alla veglia è la mia mente corre subito a te, e dico fra me: guarda io qui e la Nina serò là nel suo letto pacifica e beata! se sapesse dove sono io certo non dormirebbe Nina per dirti tutto devo parlarti bocalmente. Se avrò la fortuna, la mano non mi regge più […]
.
Io termino ti saluto baciandoti di cuore e mi firmo di essere il aff.mo Piero che tanto ti ama, ciao Prego Iddio per me adio, Iddio ti benedica.

Si giunge così alla X battaglia dell’Isonzo. Non sappiamo se Pietro riuscì a ritornare a casa un’ultima volta. Considerate le vicende di moltissimi altri soldati è però probabile che egli non ci riuscì. Nel corso della battaglia, esauriti i portafariti, anche lui ricevette l’incarico di recuperare e soccorrere i bisognosi, adoperandosi ovunque nonostante l’intenso fuoco nemico. Fu a quota 652 del Monte Vodice che, il 24 maggio 1917 (secondo anniversario di guerra), all’età di soli 19 anni, venne raggiunto da una scheggia di granata che lo colpì al capo uccidendolo sul colpo. Ai primi giorni di luglio la famiglia ricevette la seguente lettera datata “Zona guerra 30 – 6 – 1917“,

Preg.mo Sig,re Terruzzin,
è con dolore vivissimo che faccio seguito alla triste notizia che già le sarà giunta ufficialmente.
Io che ho avuto l’occasione di apprezzare la bontà d’animo, la calura, il coraggio del povero Pietro, posso accertarle che cadde da eroe, di fronte al barbaro nemico, durante la vittoriosa giornata del 24 maggio alla quota 692 (Vodice). Cadde colpito da scheggia di granata austriaca, poco distante da me, subito dopo che aveva medicato un compagno ferito. Noncurante del pericolo, correva sempre qua e là, dove più infuriava il combattimento, per prestare la propria opera di portaferiti; avendo sempre per tutti parole di conforto.
Povero Pietro! Tutti ti volevamo bene, specialmente io, che ti avevo spesso accanto, sulla linea del fuoco, io che ti ero superiore, ma ti amavo come un fratello! La Patria può vantarsi di simili eroi: io l’ho già proposto al reggimento per la medaglia al valor militare.
Addolorato ma orgoglioso, le invio i miei saluti cordiali
Aspirante ufficiale Francesco Bernardi
Comand.te Interinale 748a Comp. Mitragl.a 21° Regg. Bersagl.
Zona di Guerra.

La richiesta del Sottotenente Bernardi andò a buon fine e Pietro venne premiato (postumo) con la la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “TERUZZIN Pietro, da Vigonovo (Venezia), soldato compagnia mitragliatrici Fiat, n. 9939 matricola – Unico portaferiti rimasto alla compagnia, noncurante di sè, si esponeva con mirabile ardimento, sotto il violento fuoco nemico, per soccorrere, sul campo durante l’azione, i feriti, anche d’altri reparti, finché cadde egli stesso colpito a morte. – Monte Vodice, 24 maggio 1917.

La famiglia cercò in seguito informazioni sulla sepoltura del proprio caro. Una lettera spedita da Zagomilla il 6 agosto 1917 dal Bernardi riportava la notizia che “ebbe onorata sepoltura presso Zagora, nel cimitero di guerra lungo l’Isonzo nella sponda redenta.” Questa informazione venne in seguito utilizzata dalla madre tra il 1920 ed il 1922 quando partì da Vigonovo per il vecchio fronte alla ricerca della tomba del figlio – una fossa comune in cui Pietro venne sepolto assieme ad altri due compagni – e per vedere i luoghi in cui egli cadde. Non si tratta di un caso isolato: molte madri e padri intrapresero spesso viaggi simili per cercare di capire e trovare pace.

Sappiamo, infine, che il cimitero in cui venne inizialmente sepolto Pietro venne smantellato nel dopoguerra; egli venne trasferito – come ignoto – nel cimitero di guerra di Plava dedicato al Generale Prelli ed in seguito tumulato nel Sacrario militare italiano di Oslavia.

La consegna del Gagliardetto della Memoria alla nipote Liliana Terruzzin
La consegna del Gagliardetto della Memoria alla nipote Liliana Terruzzin

Fonti bibliografiche:
Documentazione storica (lettere e cartoline) famiglia Terruzzin;
Albo d’Oro dei caduti d’Italia;
Atto di morte (Archivio Ufficio Anagrafe del Comune di Vigonovo);
sito internet: www.istitutonastroazzurro.org

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Andrea e Cesare Brigo

Abbiamo parlato sempre di casi di soldati presi singolarmente, ma questa volta vogliamo ricordare invece due fratelli deceduti durante la Prima Guerra Mondiale: Andrea e Cesare Brigo. Prima però di procedere con le loro storie vogliamo lasciare spazio al messaggio lasciato dalla nipote Annalisa, a nome della famiglia.

Il 25 aprile 2015 è stato un giorno speciale perché siamo stati invitati dal Presidente dell’Associazione Riviera al Front, Ivan Zabeo, e dall’Assessore alla Cultura Antonio Pra, che ringraziamo sentitamente, a ritirare i riconoscimenti per i nostri famigliari che hanno combattuto al fronte nella Prima Guerra Mondiale. Nella solenne atmosfera della sala Consigliare del Comune di Dolo, alla presenza di innumerevoli autorità, con grande commozione abbiamo ricevuto i Gagliardetti per le relative campagne di guerra: per Andrea e Cesare Brigo, fratelli del nonno paterno, periti in seguito alle gravi ferite subite, e per Umberto Martellato, nonno materno, sopravissuto ed insignito di Medaglia d’Oro e Cavaliere di Vittorio Veneto per un significativo atto di eroismo. Mi pervade un grande senso di riconoscenza, per il grande sacrificio di questi ragazzi, per una guerra che forse si poteva evitare, come si dovrebbero evitare tutte le guerre! Non dobbiamo dimenticare che ci hanno lasciato in eredità un’Italia libera e democratica, che dobbiamo custodire gelosamente, affinché il loro grande sacrificio non sia stato vano.

Annalisa Brigo

Andrea Antonio e Cesare Brigo nacquero a Sambruson, figli di Luigi, contadino, e della moglie Santa Giovanna. Andrea era nato nel 1890, mentre Cesare era di sette anni più giovane.

Andrea, matricola 17702, a fu mobilitato il 1 giugno 1915 e a distanza di pochi giorni, a 25 anni, fu assegnato all’87° Fanteria, Brigata Friuli, che fu prima mandata a Bassano del Grappa e poi avvicinata al fronte isontino, a Palmanova. Il 20 agosto, per la prima volta, lui e gli altri soldati dell’unità si appostarono nelle trincee della zona di Monfalcone. Il battesimo del fuoco per i fanti del Reggimento arrivò il 12 ottobre, quando il primo battaglione partecipò ai combattimenti su quota 93.
Poco prima della terza battaglia dell’Isonzo Andrea fu inviato nel 31° Fanteria, Brigata Siena, operante a Castelnuovo. L’obiettivo della battaglia era la conquista della cosiddetta ‘trincea delle frasche’, così chiamata per via dei rami che la nascondevano alla vista dei ricognitori aerei italiani. Gli assalti cominciarono il 21 ottobre e durarono tre giorni. Solo il 23 gli italiani s’impossessarono della prima linea nemica ma si trattava di un successo effimero poiché la notte seguente furono ricacciati dai vecchi difensori. In occasione della battaglia il comandante della Brigata fu destituito temporaneamente dall’incarico: il 22 ottobre si realizzarono tre balzi in avanti, a cominciare da quello delle 10 della mattina fino a quello delle 14 pomeridiane. Visti i risultati insoddisfacenti, il comandante, Maggiore Generale Federico Pastore, decise di infrangere un ordine che avrebbe portato al quarto assalto. Dopo nuovi colpi di mano continui, con protagonista il 32° reggimento, l’intera Brigata fu portata a Palmanova per riorganizzarsi, passandovi le feste di Natale.

In previsione di una possibile offensiva austroungarica in Trentino, a marzo la Siena fu dislocata tra Grigno e Strigno, nella zona di Trento, mentre due battaglioni erano stati schierati lungo il torrente Maso e la Val Maggio. Dopo un attacco che coinvolse il 32° sul monte Carbonile e su Spigolo Frattasecca, nella zona di Panarotta, tra il 14 e il 16 aprile il comando di divisione decise di spostare la Brigata sulla linea tra Cima Manderiolo e Sant’Osvaldo. Dopo tre giorni di serrati combattimenti corpo a corpo, tra il 6 e il 9 aprile, la mattina del 16 aprile i tirolesi avviarono le prove per la Strafexpedition del mese dopo con un attacco su Sant’Osvaldo, travolgendo il secondo battaglione del 31° e costringendolo a ripiegare a Volto e poi sul torrente Larganza, in località Roncegno Terme. Secondo lo storico ed ex soldato dell’esercito austroungarico Heinz Von Lichem, le spallate austriache di aprile sull’Armentera risultarono determinanti per lo sfondamento di maggio perché fu aperta una breccia: in questo settore gli avversari sprigionarono la loro forza lungo tutta la linea del Trentino, seguendo il Brenta e l’Adige. Nella serata del 15 maggio gli austroungarici riuscirono a sfondare a Villa Ceschi, con la Siena costretta all’arretramento, svolto fino al 22 maggio, inizialmente occupando la linea Villa Hippoliti e Moschene (il 16), poi Cima Dodici (il 18) e, infine, stabilendosi a difesa di monte Civaron e a Ospedaletto.

Durante la ritirata Andrea fu ferito in modo grave: l’8 giugno partì dal fronte a causa di una anchilosi parziale del gomito destro provocata da un’arma da fuoco. Portato a Roma, restò in cura fino al 2 febbraio 1917. La convalescenza durò un anno e l’8 giugno tornava a fianco dei suoi compagni, con la Siena posizionata a Jamiano. Dopo un periodo di riposo durante l’ultima decade di luglio, tra il 1 e il 16 agosto occupava la linea di Komarje.
Non guarì del tutto dalla ferita occorsa a Ospedaletto nel giugno 1916. Il 1° settembre fu mandato in licenza straordinaria per curarsi dai postumi della ferita subita al braccio destro e della tubercolosi polmonare. La sofferenza del fante durò altri due mesi. Alle ore 16 del 19 novembre morì nella sua casa di via Alture 175 a 27 anni.

Mentre Andrea consumava gli ultimi giorni al fronte sul Carso, il fratello Cesare cominciava la sua guerra. Arruolato il 16 agosto e iscritto alla prima categoria con la matricola 21989, due giorni dopo veniva assegnato al deposito del 55° Fanteria, nella Marche, con sede a Treviso. Dopo la ritirata dall’Isonzo le forze armate italiane dovevano essere riorganizzate e Cesare fu assegnato per quattro giorni al 265° Fanteria, nella Lecce, appostatasi sulle Grave di Papadopoli, giusto in tempo per contribuire a bloccare l’avanzata del nemico che, grazie a un ponte di barche, stava superando il Piave. Il 20 novembre fu inviato nella Torino, nell’82° Fanteria, che operava a poca distanza dalla Lecce. Il mese di dicembre, passato tra Candelù e Maserada, fu di tregua non dichiarata, utile ad entrambi gli eserciti per riorganizzarsi; tra il giorno di Natale e l’inizio di febbraio Brigo e i compagni furono ritirati a Treviso per poi ritornare, tra febbraio e maggio, a presidio della zona del Sile, tra Ca’ del Negro e Salsi.

Nel primo giorno della battaglia del Solstizio (15 giugno 1918) l’82° era in prima linea e la sera gli imperiali oltrepassarono il fiume creando una testa di ponte a Capo Sile; le cose sembravano mettersi male, ma il terzo battaglione riuscì a ricacciarli; gli asburgici attaccarono nuovamente all’alba del 18, sempre nella parte presidiata dal terzo battaglione, trovando nuovamente un baluardo insormontabile. Dopo due giorni di tregua fu la volta della Torino ad andare all’attacco: lungo tutto il settore da essa controllato, la Brigata cercò di passare il Piave realizzando azioni dimostrative nel settore di Jesolo; il 22 giugno l’82° sfondava a Ca’ Massocco e riusciva a catturare 270 uomini e molto materiale bellico. L’ultima fase di scontri prima del riposo vide la Torino attaccare la Piave Vecchia, dove il campo di battaglia era paludoso e ricco di vegetazione, favorendo gli imperiali nell’allestimento di una buona linea di difesa. Nonostante tutto, la fanteria italiana riuscì, dopo due giorni di scontri, ad impossessarsi di importanti posizioni, a catturare 300 prigionieri e altro materiale bellico. La prima fase della battaglia del Solstizio si concluse con un successo ma in quei giorni la Brigata, con l’81° che stava combattendo a Meolo, perse più di 800 uomini.
Dopo essersi riorganizzata, a inizio di luglio la Torino passò alla nuova controffensiva per ricacciare le ultime sacche nemiche al di là del fiume. Il Reggimento di Brigo, nonostante il campo insidioso e inondato, grazie all’ardimento di alcune pattuglie riuscì a raggiungere Bova Favaretto. La forza della Brigata italiana era implacabile e gli austroungarici, ormai battuti, passarono il Piave sulla sponda sinistra. I soldati dalla mostrina color giallo-blu presero così posizione a difesa del tratto tra Ca’ Bressanin e il mare, ottenendo il supporto della Regia Marina. Dopo aver respinto con tenacia gli austroungarici e averli ricacciati al di là del fiume, la Brigata fu mandata in riposo a Cavallino. Le gesta della battaglia del Solstizio furono premiate con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il periodo di riposo durò qualche settimana e il 13 agosto la truppa fu spostata prima a Ca’ Vianello e, pochi giorni dopo, a Badoere. La Torino era però destinata a cambiare il versante del fronte: dal Piave si passava alla Val Giudicarie. Il 1 ottobre la Brigata si collocava così sulla linea tra Monte Melino e Levanech, in attesa di passare all’attacco in quella che sarebbe divenuta la battaglia finale. Mentre sul Piave e sul Grappa le fanterie combattevano già da giorni, il 3 novembre la valle risultava ormai sgombra da qualsiasi forza nemica, ormai in rotta. Quel giorno, partendo da Comlino, la Torino conquistava senza sparare un colpo gli abitati di Lardaro, Biondo e Trone. Infine, il 4 novembre, giorno dell’armistizio, assieme agli arditi, i fanti dell’82° entravano a Mezzolombardo, mentre il Reggimento gemello proseguiva per Bolzano.
La guerra era finalmente finita, ma la vita di Cesare sarebbe proseguita per poco tempo: rimasto alle armi per terminare il periodo di ferma, fu trasportato all’ospedale militare di Roma; il 24 maggio 1920 fu riformato e mandato a Sambruson. Non guarì e morì a 22 anni il 20 luglio 1920 nella casa in via Alture.

Annalisa e Bruna Brigo ritirano il Gagliardetto della Memoria in onore dei soldati Andrea e Cesare Brigo

Fonti:

  • Diari delle Brigate Siena, Torino, Lecce, Friuli
  • Heinz von Lichem: La guerra in montagna 1915 – 1918. Il fronte dolomitico
  • Fogli matricolari di Andrea e Cesare Brigo, conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Ferruccio Boschetti

Ritornando a parlare dei soldati che abbiamo ricordato durante la cerimonia di consegna dei Gagliardetti della Memoria, parliamo ora della storia di Ferruccio Boschetti. Prima di farlo, pubblichiamo il ricordo che Fernanda Giantin, nipote del Tenente, ci ha rilasciato.

LA MEMORIA VA COLTIVATA COME IL CONTADINO COLTIVA LA TERRA

Ferruccio era il fratello più giovane della mia nonna paterna Lavinia, figura fondamentale per la mia educazione fin dall’infanzia. La memoria per lei era un culto perché dà identità e appartenenza. Come fa un paese, una famiglia a dimenticare la sua storia, a non sapere chi siamo e di quali esempi ci nutriamo? La memoria va coltivata con amore come il contadino coltiva la terra, la rivolta, la concima; darà i frutti alle nuove generazioni. Alla mia nascita Ferruccio non c’era più da vent’anni. C’era la sua immagine e nel tempo il ricordo continuo di lui, delle sue virtù civili e militari, è entrato nella mia mente e nel mio cuore. Sapeva esprimere con facilità il suo affetto verso la famiglia. Lavinia mi leggeva i pensieri con cui accompagnava le foto che inviava dal fronte; manifestavano grande sensibilità, serenità e senso del dovere. Ma per il Centenario della Grande Guerra, il suo non sarà solo un nome sconosciuto scolpito sulla lapide dei Caduti di Arino ma una storia viva raccontata con passione ed impegno dai ragazzi dell’Associazione Riviera al Fronte. Si compie quanto la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano promesso a Ferruccio sul memoriale del trigesimo: “Resterai tu obliato nel dì che verranno? Non pensarlo!”. Ma mai avrebbero immaginato che dopo un secolo la sua vita e il suo sacrificio fossero raccontati alla gente della Riviera del Brenta, a chi frequenta Internet e che in suo onore fosse consegnato alla nipote il Gagliardetto della Memoria. Le nonne e la nipote ringraziano.

Fernanda Giantin

Vigonovo, 7 agosto 2015

Ringraziamo quindi Fernanda che, grazie alla sua passione per la Storia e l’amore nei confronti dei suoi parenti che andarono al fronte, ha conservato del materiale importante, composto di foto e manoscritti, prestatoci per raccontare la vita del tenente Ferruccio Boschetti, matricola 1308 e poi 20982, figlio di Giovanni Battista e di Augusta Fabris, Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la Grande Guerra e reduce della campagna di Libia, disperso durante la battaglia di Monastir del 1916.

Ferruccio Boschetti in abiti civili. Appena sopra al braccio sinistro si puà intravedere una piccola medaglietta d’argento. Fu conquistata nell’anno 1900 a Siena, in occasione di una gara di scherma organizzata dall’Esercito

Il registro di leva contenuto nell’Archivio Comunale di Dolo indica che Boschetti era nato ad Arzergrande, Padova, il 29 aprile 1878. La famiglia era originaria della Liguria e una volta adulto Ferruccio tornò a Molassana, Genova, dove trovò lavoro come impiegato e creò una famiglia, allevando due figli; la madre Augusta e la sorella Lavinia restarono invece nel Veneziano, la prima ad insegnare alla scuola elementare di Arino, la seconda a Vigonovo. Boschetti aveva combattuto in Libia nel 1911-12, ottenendo i primi gradi e venendo promosso fino ad essere sottotenente.

Con l’inizio della guerra contro l’Austria-Ungheria Boschetti fu richiamato e assegnato a vari battaglioni della Milizia Territoriale per via dell’età. Non partì da solo: con lui c’era l’inseparabile macchina fotografica, utilizzata nei momenti di tregua. Le foto originali, datate e segnate con il luogo dove furono scattate, sono arrivate ai giorni nostri e Fernanda ci ha permesso di pubblicarne qualcuna.

Ferruccio Boschetti sul monte Novegno, inverno 1916

Boschetti passò la prima parte del conflitto sull’altopiano di Folgaria, sul Sommo Alto, per lavorare alla fortificazione e al presidio dell’area. All’inizio del 1916, invece, giunse in Trentino anche la Brigata Cagliari, alla quale il battaglione di Boschetti fu aggregato fino alla campagna di Macedonia. La Cagliari fu chiamata a presidiare il settore di Tonezza a febbraio, tra i monti Maronia, Coston e Soglio d’Aspio, e fino all’inizio della Strafexpedition il fronte fu posto in sicurezza senza grossi problemi. Il più grande nemico in quell’inverno infernale erano il gelo e le valanghe: una foto scattata nel marzo 1916 (a fianco) mostra gli effetti della grande nevicata che aveva investito il monte Novegno. Incredibilmente, le baracche di entrambi gli schieramenti furono adombrati da mura di neve alte fino a 5 metri.

Il 15 maggio gli austroungarici balzarono all’assalto alla prima linea italiana sull’Altopiano di Asiago. In seguito al bombardamento dell’artiglieria, la fanteria imperiale dilagò in Costa d’Agra, aggirando le forze italiane. Il terzo battaglione del 64°, a difesa del Tre Sassi, fu accerchiato e catturato, non senza lottare, mentre il primo battaglione riuscì ad evitare la stessa sorte sul Soglio d’Aspio, riuscendo a raggiungere con i superstiti Coston d’Arsiero. Questo luogo diventava la linea di non ritorno e consapevoli di questo la Cagliari impose le proprie armi su quelle nemiche, rallentando così la corsa austroungarica alla pianura.

Ferruccio Boschetti in divisa

Mentre la Cagliari veniva riorganizzata in seconda linea a Chiuppano, gli asburgici avanzarono mettendo sotto assedio il Novegno, in particolare i monti Spin e Brazome. Fu proprio su quelle posizioni che la Brigata di Boschetti fu schierata per la difesa dell’estremo baluardo d’Italia. Se nei giorni precedenti l’azione offensiva aveva disgregato la retroguardia e provocato gravi danni, nella seconda parte della Strafexpedition i difensori italiani riuscirono a resistere con audacia. La battaglia del Novegno proseguì fino alla metà di giugno, fino a quando l’Alto Comando austroungarico ordinò la fine delle operazioni e il ripiegamento su delle posizioni più difendibili. Tra le giornate più dure da ricordare c’è quella del 12 giugno, quando all’alba l’artiglieria imperiale iniziò a tirare contro gli italiani sui monti Giove, Novegno e Passo Campedello. Dopo alcune ore di fuoco martellante, il 3° e il 4° Kaiserjaeger balzarono fuori dalle trincee per impossessarsi di quelle avversarie. In due giorni, asburgici e italiani lottarono in furiosi corpo a corpo che aveva come risultato la vittoria di quest’ultimi. Il 14 giugno gli aggressori diedero sfogo alle ultime forze, l’ultimo tentativo per sfondare e conquistare così Schio e la Pianura Padana. La fanteria italiana, rimasta senza rinforzi e allo stremo delle forze, riuscì a resistere ancora una volta per altri due giorni. Boschetti osservava lo svolgimento della lotta dall’osservatorio del Rivon, da dove le batterie colpivano le truppe imperiali allo scoperto. L’Italia aveva vinto e la Cagliari era stata lanciata all’inseguimento dei fuggiaschi. Prima di abbandonare l’Altopiano dei Sette Comuni, le truppe occupavano Pria Forà, monte Brazome, monte Aralta e Roccolo dei Sogli, controllando le cime fino al 26 luglio, quando i fanti furono ritirata per rifiatare a Schio, in attesa di partire per la Macedonia.

bomba inesplosa
Ferruccio Boschetti e una bomba inesplosa austriaca sul Monte Novegno, giugno 1916

Il Novegno era stato completamente devastato e bucherellato dall’artiglieria asburgica. Gli ordigni inesplosi restavano là, in attesa di essere disinnescati e spostati. La foto a fianco mostra il sottotenente Boschetti su uno dei proiettili in questione.

Negli stessi giorni inviava a casa altre fotografie, una che ritraeva i suoi coraggiosi commilitoni. Dietro ad una di queste aveva scritto:

Ferruccio Boschetti, a destra, con i suoi commilitoni. Giugno 1916

«Ragazzi generosi, umili, figli di contadini, coraggiosi e forti che hanno sopportato la fatica, il freddo, la fame, il sonno e le sofferenze di ogni genere».

Dopo le fatiche della battaglia di Asiago, la Cagliari era destinata al fronte macedone. Prima di partire, però, a Ferruccio era stato concessa una settimana di licenza per rivedere i propri cari. Il periodo però non era abbastanza: dopo esser stato per cinque giorni in quarantena al distretto sanitario, in pochissimi giorni riuscì a salutare, per l’ultima volta, l’adorata moglie e i figli a Molassana e la madre e la sorella in Riviera del Brenta.

L’8 agosto iniziarono le attività di imbarco a Taranto per il fronte balcanico. Il trasporto della Trentacinquesima divisione e del resto del corpo di spedizione italiano nei Balcani durò quasi una settimana, con l’Adriatico infestato dagli U-Boot. Boschetti e il suo contingente arrivò salvo sull’altra sponda e in una lettera descrisse Salonicco, la città portuale dove sbarcò:

«E’ una città meticcia. Convivono Cristiani, Mussulmani ed Ebrei divisi in distretti come villaggi all’interno di una città e riconoscibili solo dal differente colore dei turbanti: bianchi per i seguaci dell’Islam, gialli per gli ebrei e blu per i cristiani. È convivenza che dura da cinquecento anni! Il panorama si presenta con alti minareti, cipressi, cupole e le eleganti residenze ottomane.

Sopravvivono i resti dell’Arco trionfale del tetrarca Galerio (fine del III – inizio del IV secolo) – 1915 l’archimandrita di Salonicco, massima autorità religiosa cittadina della Chiesa greco-ortodossa, è ospitato a bordo di una nave da guerra britannica per protezione.

Belli i nostri giovani soldati e ben vestiti; sono stati molto festeggiati ed ammirati quando sfilarono per le vie di Salonicco».

Le truppe della Cagliari dovevano combattere su un terreno molto difficile, non molto diverso da quello dell’altopiano di Asiago, anche se molto più secco e paludoso. Inoltre, si manifestavano le malattie che avevano colpito le truppe italiane in Albania, con diverse vittime: molti si ammalarono e allora il comando corse ai ripari consegnando ai soldati il chinino.

Il 27 agosto la truppa occupava il settore Akeeklise – Sarigol e ai primi di settembre controllava il settore di Krusa Balcan, fra il lago Dorjan e il forte di Dova Tepi, dove era chiamata a realizzare lavori difensivi. Il 19 ottobre i combattimenti entrarono nel vivo quando le truppe alleate decisero di sfondare a Monastir, con il comando delle operazioni guidato dai francesi. Passata la prima parte dell’autunno, la guerra sul fronte balcanico iniziava a prendere una strada ben definita: le truppe italiane sostituirono la Diciassettesima divisione francese sull’altopiano di Monastir, a 2000 metri di altezza, dove la neve era già abbastanza alta e si viveva in condizioni disperate, a dieci gradi sotto zero. Il 15 novembre iniziava il movimento e la Cagliari occupava il dente di Velusina e il colle di Ostrec. La battaglia entrava nel vivo il 17 novembre, quando l’artiglieria tedesca e bulgara martellarono la prima linea alleata. Era un tentativo estremo, ma inutile, di bloccare l’offensiva dell’Intesa, compiuta il 19 novembre con la conquista di Monastir. La Cagliari fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare e della Croce Francese con Palma.

Tra i primi caduti di quell’offensiva c’era anche il sottotenente Boschetti, colpito in pieno da una bomba. Il suo attaccamento ai suoi sottoposti e il coraggio fu sottolineato nella motivazione per cui gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare:

«Costante esempio di valore, durante un forte bombardamento nemico mantenne alto il morale dei propri dipendenti e mostrando animo invitto e sprezzante del pericolo, sulla prima linea sdegnava qualsiasi riparo, finché cadde sul posto colpito al petto da una scheggia di granata». (monte Velusina – Macedonia – 17 novembre 1916).

A distanza di poco più di una settimana, a Morassana e ad Arino giunse la notizia della scomparsa del povero Ferruccio. Il tenente colonnello comandante la 35° Divisione, M.L. Cravosio, scrisse alla moglie una lettera toccante, datata 27 novembre 1916:

«Con sommo dolore, comunico alla S.V. che suo marito sottotenente Boschetti Ferruccio, il 17 corr. cadeva gloriosamente colpito da granata nemica.

Conoscendo le preclari virtù dell’eroico Sottotenente, è stato promosso ufficiale per merito di guerra.

Assicuro la S.V. che farò tutto il possibile perché l’eroismo di suo marito non venga dimenticato affinché una meritata ricompensa possa lenire il dolore di tutta la famiglia.

Nel compiere il doloroso dovere, le porgo le mie condoglianze e quelle degli ufficiali tutti del reggimento e le assicuro che ciò che apparteneva al compianto suo marito le sarà rimesso a cura del deposito di questo reggimento.

Il Ten. Colonnello

Comandante Int. del Reggimento

M.L. Cravosio»

Dopo la scomparsa di Ferruccio, la madre e la sorella vissero con il dolore di non poter più vedere il loro amato congiunto e di non poter piangere sulla sua tomba; ma restava incancellabile e tramandato di generazione in generazione il ricordo e l’orgoglio di aver dato un figlio al servizio alla Patria, distintosi per l’onore e il coraggio. A pochi giorni di distanza dalla triste comunicazione, la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano dedicato un memoriale.

IMG_20140913_0008_NEWIMG_20140913_0009_NEW

Il nome del tenente Boschetti è stato ricordato in testa al monumento dei caduti di Arino. Al momento della scomparsa aveva 38 anni.

IMG_7634
Fernanda Giantin ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Ferruccio Boschetti

Fonti:

  • Ricordi famigliari appartenenti alla famiglia Giantin;
  • Diario della Brigata Cagliari
  • Per la Medaglia al Valore: Istituto del Nastro Azzurro

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Chino Guglielmo

Guglielmo Chino: soldato semplice, caduto della Grande Guerra, parente di Andrea Cecchi, socio fondatore di Riviera al Fronte che ci ha consegnato le lettere scritte dal prozio alla famiglia e una foto.

Il soldato Guglielmo Chino

Il soldato semplice Guglielmo Chino, matricola 12912, apparteneva al 25° Reggimento Fanteria, Brigata Bergamo, era figlio di Maurizio e di Angela Scappin. Era nato a Dolo il 20 novembre 1884 in via Campo Pelà, allora vicina all’area di via Dauli, molto probabilmente nella zona dove oggi sorgono ‘Dolo 2000’ e il parcheggio del cimitero.

All’inizio della guerra, il nostro concittadino fu uno dei primi a essere richiamato alle armi: dopo l’arruolamento del 1 giugno, a luglio venne assegnato al 113° Fanteria che, assieme al 114°, componeva la Brigata Mantova. Prima di partire per il fronte, il 3 giugno Guglielmo si era sposato a Dolo con l’amata Annetta Zorzan, destinataria delle lettere che leggeremo fra poco.
Fino a metà estate 1915 il Reggimento prestò servizio in Val Lagarina, svolgendo azioni militari sul monte Baldo, a Crosano, presidiando la Vallarsa. A metà ottobre furono invece svolte importanti azioni militari culminate dal successo su quota 912, a nord-ovest di Brentonico, che portarono alla conquista dei ruderi  del castello e all’occupazione delle relative alture a nord-est della posizione e al respingimento di tutti i contrattacchi nemici. Il 1915 si chiuse con le operazioni per l’occupazione della linea Mori Nuovo – quota 163, sulla destra del fiume Adige, e con il rafforzamento delle posizioni di Madonna di Monte Albano.

All’inizio della Strafexpedition (maggio 1916), il 113° ebbe ordine di ritirarsi su posizioni difendibili, riuscendo così a resistere agli attacchi avversari. Dopo aver sventato con i propri commilitoni i tentativi di aggiramento sulla destra dell’Adige, Chino fu destinato al comando di Sacile e il 3 agosto 1916 assegnato al 25° Fanteria, Brigata Bergamo, che si trovava sul settore di Santa Lucia e di Santa Maria, senza però partecipare alle cruciali battaglie dell’Isonzo. Per circa un mese, dal 23 novembre al 14 dicembre, il 25° rimase in riposo tra Fauglis e Prepotto.E’ da questa parte del fronte che Guglielmo scrisse ad Annetta; la lettera in questione è datata mercoledì 24 agosto. È stata trascritta come sull’originale.

“Mia adorata moglie,
Subito ti do mie buone notizie come siamo stati intesi. Ora la mia salute e buonissima cosi spero dite e miei cari bambini. Dunque caro mio tesoro tu dici che tuo fratello e 17 giorni che non sapete nulla di lui sai bene che si troverà più al sicuro di me e per questo non devi appasionarti. Piu che mi dispiace che tua mama a poco bene ma spero che presto stara meglio. Dunque mia cara Anetta devi sapere che mi trovo in trincea ancora dal secondo giorno che siamo rivati e non si sa quando si avrà il cambio qui si mangia una volta ogni 24 ore ti dano umpo di caffè fredo ti dano umpo di pasta e riso come la colla mezza tassa di vino, ogni 2 giorni ti dico cose del l’altro mondo. Poi nella trincea e va pregare Idio che non piova perche ai laqua sopra e anche sotto sono 6 gioni che siamo immezo al fango perche piove sempre. Dunque mia cara anetta quello che ti recomando che non ai da pasionarti per certe cose tu devi pensare al tuo amore che si trova esposto al pericolo. Qui per ora non ce avanzate ma ci sono tutte le sere attachi e contro attachi. Basta mia cara Anetta altro non posso dirti perche con questi tagliani Non si puo parlare tanto. Ieri o ricevuto notizie da mio nipote Rodolfo dice chea ricevuto la mia fottografia midice che sta bene. Da mio Nipote Ernesto non o ricevuto neancora notizie. Delle tue lettere Neo ricevuta una solo.Guarda che miano tagliato li Capelli Perche in trincea sifa li pidocchi come lio gia Presi, ti metto dentro questo grupetto di Capelli. Quando mi scrivi manda pure sensa bolo. Allora Termino il mio scritto col baciarti te e figli e fatti coraggio come io. Ciao mia Anetta speriamo che tutto vada fenito e allora tornero a casa e si baceremo como si abbiamo sempre baraciato coi nostri cari figli. Tu tesei sognato e Pure anchio 2 volte. saluta tutti Baci ai bambini e a te stretti Bacioni. Dal Tuo Primo Amore. Marito Chino Guglielmo
Ciao
scrivi sempre
Baci e Baci”

Guglielmo soffriva molto la distanza da casa ed era triste sapendo che la moglie non godeva di buona salute dato che era in attesa di un intervento chirurgico all’ospedale di Dolo. Il 9 settembre Guglielmo scrisse:

“Ti dico che non stia pensare perche altro che pensare io non facio che piangere giorno e notte nonso chi sia quel barbaro uomo che non penza alla sua diletta famiglia, moglie e figli io o sempre pensato e sempre pensarò fino che saro questa posizione perche io non volto li ochi se non penso a te. Io la mia vita non li facia calcolo fino a che sono in prima linea e se avro la fortuna di campare pensero a sempre fino a quel giorno che potro venire a casa abbracciarti te e miei cari bambini”

Pochi giorni dopo la coppia ebbe modo di incontrarsi a Sacile grazie a due giorni di licenza concessi a Guglielmo tra il 12 e il 13 settembre. Un momento indimenticabile e che il soldato ricorda in chiusura della lettera del 17 successivo:

“Non penzare mai il male che io sto bene adio mio amore dali baci ai nostri cari bambini e prega perme. Quest ogi mentre faceva un pisolo sono vicino a Sampieri mi sono sognato dite non puoi maginarti quando mi sono svegliato pensavo quella note che abbiamo passato a Sacile. Basta Coraggio sempre Ciao Baci”

Grazie alla frequente corrispondenza con il marito, Annetta approfittava per chiedere informazioni su altri compaesani che non scrivevano più a casa. Guglielmo riusciva a comunicare molto con Dolo, anche se riceveva le lettere in ritardo. La scrittura era facilitata anche dai momenti di stasi del conflitto; altri soldati facevano mancare proprie notizie per mesi e le famiglie erano costrette a rivolgersi al Sindaco del paese, che scriveva ai comandi del Reggimento di appartenenza. Venerdì 13 ottobre Chino scrisse:

“Cara mia moglie guarda per ricevuto 5 lettere tutte suna volta per 2 ore o sempre letto. o inteso che vuoi sapere se nino Gambero lovisto nel venire o se andare io lovisto quando sono venuto giu dal fronte di Gorisia e poi non lo piu visto io son uno fronte e lui povereto si trova sun naltro io avrei molto piacere che non fosse Morto. o inteso pure di Augusto Carraro e anche di Costante sono molto dispiaciuto”
Nella stessa lettera, Chino comunicava che le condizioni della truppa erano migliorate: “dunque adesso fra un giorno o 2 vado ancora in trincea perche adesso sifa 6 giorni in trincea e 6 giorni in montagna a lavorare di barache per ripararsi del laqua e galerie per ripararsi dell canone nemico.”

Tra i colli del Santa Lucia e di Santa Maria l’inverno si stava avvicinando velocemente e le condizioni atmosferiche stavano peggiorando gradualmente. Il vero nemico dei fanti non era il soldato austroungarico, anch’egli costretto a vivere in condizioni pessime, ma il freddo, la neve e l’acqua, sia quella che cadeva dal cielo in gran quantità sia quella da bere che non arrivava mai. Il 1° dicembre 1916, alle ore 11, Guglielmo scriveva:

“Dunque mia cara Anetta non ti posso dire la vita che abbiamo fatto la notte del 22 venindo al 23. Siamo venuti su da una montagna con vento pioggia e neve non sevedevimo uno col laltro era tanto dura siamo rivati su alla mattina tutti disvigurati stanchi erimo tutti coperti di neve e fame. poi per venire qui dove si troviamo adesso abbiamo caminato 2 giorni Poi non si poteva piu andare avanti e ora anno chiamato piu di 100 autocarri fino che mi ano portato qui. Adesso siamo nei dintorni di Palmanova qui si starebe bene ma tutto il giorno mi toca fare le strusioni e mi dano anche pocho da bere ma per questo siamo tutti contenti perche siamo al momento siguri della nostra cara vita. Mia cara Anetta quanti pidochi cheo butato via in questi pochi giorni era pieno come una bestia. dunque qui si spera che prima di andare sun naltro fronte possa mandarne tutti in licenza che siamo qui che la bramiamo come il pane che simangia e poi siamo contenti di partire subito almeno che posiamo vedere ancora.”

La speranza della licenza tanto agognata rimase: dal 15 dicembre fino all’inizio della decima battaglia dell’Isonzo, combattuta nel maggio 1917, il Reggimento di Chino venne incaricato di presidiare le posizioni del Monte Debeli. La stanchezza della guerra cominciava ad affiorare e nemmeno i giorni di festa servivano a distrarre i soldati. Scriveva Guglielmo il 12 aprile:

“Mia anetta tifaccio sapere che mia domenica giorno di Pasqua e venuto Nostro nipote Rodolfo a trovarmi in trincea, ma sia fermato pocho tempo perche quelli barbari tedeschi a cominciato apprire un tremendo fuocho e io subito lo fatto scapare dalla trincea di fiancho. E io Poveretto sono stato la in trincea e mie venuto da piangere vedermi in merso nel fuocho. Basta mio amore anche questa volta lopasato per il bucho della chiave ma non ti posso dire li spaventi di questi 20 giorni sempre sotto al fuocho nemico. Mia cara Anetta te avreai da contare tanto ma sai bene che passano la censura. qui dove mitrovo Ho attrovato Mario del Caffe Comercio e anche Alesandro che era da Salmasi, tisaluta tanto. Mio tesoro tu Parli sempre della mia licenza tu ai tanta raggione ma devi sapere che in questo Reggimento nemanda via tanto. Pochi, ma adeso vicino che in questi 40 giorni mandano tutti. Basta che le cose vada tutto per bene e cosi vera il mio turno anche per me. Dunque o inteso amore di Ernesto io ho gia scritto salutelo tanto Rodolfo vimanda Baci a tutti.”

Purtroppo Chino non vedrà mai la licenza perché era in fase di preparazione la decima battaglia dell’Isonzo. Il 23 maggio la Bergamo fu mandata alla conquista delle trincee del Monte Flondar e delle posizioni sul’altura denominata quota 92. A metà giornata gli italiani conquistarono la prima linea nemica ma in serata furono costretti a retrocedere a causa della controffensiva austroungarica non solo da quella appena conquistata ma anche da quella di partenza, lasciando sul campo oltre ai morti, ai feriti e ai dispersi, anche quasi un migliaio di prigionieri. Il giorno successivo la Brigata tornò all’attacco e questa volta gli imperiali capitolarono sulle quote 92 e 43. L’avanzata proseguì: assieme alla Gaeta, il 25° occupò la linea difensiva di Flondar, nonostante il tiro dell’artiglieria e il fuoco di mitragliatrici e di bombe provenienti dal cielo da parte dell’aviazione nemica.

Chino morì nel primo giorno dell’offensiva, il 23 maggio, non si sa se nell’assalto per la presa della prima linea o nel momento della ritirata. Essendo caduto nella zona di quota 144 è molto probabile che il suo corpo fosse stato sepolto in uno dei cimiteri della zona. Poi, con la risistemazione dei campi santi e con la formazione dei sacrari di Redipuglia ed Oslavia in periodo fascista, la croce andò perduta e il corpo tumulato assieme a quello di tanti altri soldati ignoti.

Fonti:
Lettere appartenenti alla famiglia Cecchi
Archivio Comunale di Dolo
Foglio matricolare, Archivio di Stato di Venezia
Diari delle Brigate Mantova e Bergamo, ritrovati in internet

Ivan B. Zabeo

6 luglio: Mira al Forte – Memorie della Grande Guerra

2015.07.04 - Locandina - Mira al forte

Vi aspettiamo numerosi alla prima grande giornata organizzata in occasione del Centenario della Grande Guerra e che si svolgerà a Mira, Forte Poerio. L’iniziativa, che si svolgerà tra il 4 e il 5 luglio e che è intitolata Mira al Forte – Memorie della Grande Guerra, è organizzata dal Comune di Mira assieme alla partecipazione di moltissime associazioni del territorio e tra queste, ovviamente, Riviera al Fronte. L’obiettivo del Comune e degli enti partecipanti è quello di riqualificare il più possibile l’area del Forte, approfittando proprio del Centenario che si protrarrà fino al prossimo 2018.

Il 4 luglio, alle 09.30 sarà inaugurata la mostra presso Casa Futura, organizzata dall’associazione La Ghirba e da ArtiFulvio. Qui saranno presentati cimeli della Grande Guerra, divise e memorie.
Alle 10.00 saranno celebrati anche i pannelli rievocativi installati sulle porte e le finestre di Forte Poerio. Questo progetto è stato realizzato dalla Cooperativa Sociale Primavera Onlus e dall’associazione Centro Idea Donna di Mira. I pannelli vedranno delle foto realizzate a dei ragazzi che, vestendo gli abiti civili e poi la divisa dell’Esercito o delle Crocerossine dell’epoca, hanno fatto un tuffo di 100 anni.
Alle 10.30 partirà la prima delle due visite guidate della mattina al forte e il laboratorio per bambini. Le due attività sono gestite dalla Società Cooperativa Culture.

Dopo la pausa di mezzogiorno, a partire dalle 16.30 riprenderanno le visite per il forte.
Alle ore 18.00 il Sindaco di Mira, Alvise Maniero, l’assessore alla Cultura Nicola Crivellaro e i presidenti delle associazioni daranno il saluto alla cittadinanza.
Alle ore 18.30 Sebastiano Leotta e Irene Barichello leggeranno lettere dal fronte e diari di guerra. L’iniziativa è stata promossa da Riviera al Fronte. Ringraziamo pubblicamente Sebastiano e Irene, ricercatori e scrittori dell’Università di Padova e delle scuole medie, per essere dei nostri e per aver prestato la loro voce, la loro ricerca e la loro passione per questa giornata.
Alle 19.30 il coro I Fiori de Suca intoneranno dei canti sociali dell’epoca della Grande Guerra.
La giornata si conclude con lo spettacolo delle 21.30 dal titolo Il fuoco nel cuore di e con Titino Carrara, promosso dall’associazione La Piccionaia.

Il giorno 5 luglio sono previste altre due visite guidate al Forte Poerio – una alle 10.30 e una alle 16.30 – e resteranno aperte sia la mostra in Casa Futura sia le installazioni al Forte.

Durante la giornata ci saranno anche rievocanti in divisa d’epoca.

Ivan B. Zabeo

Italia, 1914-1915. Guerra inevitabile?

Dopo la bellissima ed emozionante giornata di domenica 26 aprile a Dolo, in cui abbiamo ricordato alcuni combattenti e reduci della Prima e della Seconda guerra mondiale e delle missioni di pace, Riviera al Fronte offre agli appassionati di Storia e soprattutto ai giovani un nuovo momento di riflessione. Questa volta andremo a fondo sulle cause che hanno spinto l’Italia ad entrare nella Prima guerra mondiale a un secolo di distanza. La conferenza, che si svolgerà il 9 maggio presso l’aula magna della biblioteca di Oriago di Mira (ex Cinema Italia) e organizzata in collaborazione con il Comune di Mira, è intitolata: Italia, 1914-1915. Guerra inevitabile?. Cercheremo di comprendere come l’Italia sia scesa in guerra nel maggio 1915 e, soprattutto, se potevamo evitare di entrarci.

Per cercare di dare una risposta al quesito iniziale abbiamo invitato due ospiti importanti: il PROF. ANTONIO VARSORI, docente di Storia delle Relazioni Internazionali e dell’Integrazione Europea all’Università di Padova, dirige il dipartimento di Studi storici internazionali. Titolare della Cattedra Jean Monnet di Storia dell’Integrazione Europea. Vicepresidente del groupe de liaison des historiens de l’Europe contemporaine auprés la Commission Européenne. E’ autore del libro Diplomazia all’opera. L’entrata in guerra dell’Italia, edito dalla casa editrice Il Mulino. Per altre informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Varsori.

Il dr. PATRIZIO ZANELLA, storico, giornalista e insegnante all’istituto Lazzari di Dolo. Ha collaborato, assieme a Aldo Valerio Cacco, alla redazione dell’opera Un clarinetto nel Lager. Diario di prigionia 1943-1945. Collabora con altri storici e insegnanti per la divulgazione storica del Novecento.

E ANDREA JURIS: presidente della sezione dell’associazione Paracadutisti d’Italia di Venezia e che, quale socio di Riviera al Fronte, sta approfondendo la storia dei caduti della Grande Guerra di Mira e presenterà la situazione del territorio del paese e dell’intera Riviera del Brenta nei primi anni del conflitto.

Speriamo di vedervi in molti alla conferenza. Sarà un momento per approfondire alcuni aspetti sconosciuti della nostra storia, sia a livello internazionale che a livello più locale. foto per locandinaIvan B. Zabeo

Lo scrittore John Dos Passos a Dolo con l’American Red Cross nel 1918

Quante volte abbiamo sentito parlare di Ernest Hemingway? Quante volte abbiamo letto o sentito (o addirittura visto in alcuni film) del suo ferimento a Fossalta di Piave mentre colà prestava servizio come conducente d’ambulanze per l’American Red Cross?

Ernest Hemingway, qui ritratto dopo il ferimento all'Ansa di Zenson di Piave. 1918
Ernest Hemingway, qui ritratto dopo il ferimento all’Ansa di Zenson di Piave. 1918

Se Hemingway e l’A.R.C. sono storia abbastanza nota, meno note sono le vicende vissute da “quelli della cioccolata“, ovvero da quegli spericolati ragazzi che partiti entusiasti dall’America per partecipare alla Grande Guerra si erano ritrovati a dover soccorrere – sopravvivendo – quanti più soldati feriti o morenti possibili. Tra questi ragazzi vi era anche l’autore John Dos Passos (Chicago, 14 gennaio 1896 – Baltimora, 28 settembre 1970), partito per la guerra per salvare le vite umane, allineandosi con i suoi ideali di pacifista.

Lo scrittore John Dos Passos nel 1917-1918
Lo scrittore John Dos Passos nel 1917-1918

Poco dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro l’Austria-Ungheria (7 dicembre 1917), alcune Sezioni dell’A.R.C. vennero inviate in Italia dalla Francia. Dopo aver stazionato a Milano per qualche giorno, tra il 13 ed il 25 dicembre alcune di esse partirono per il fronte del Piave. Dos Passos e l’amico Sydney Fairbanks invece (Hemingway all’epoca dei fatti qui narrati era ancora in America), furono inizialmente costretti a rimandare la partenza. Nel frattempo, però, l’azione offensiva austro-tedesca tra il Grappa ed il mare rendeva la situazione piuttosto instabile, costringendo tutte le Sezioni già in viaggio a stazionare per un tempo indefinito nelle località raggiunte. La Sezione n. 3 si fermò quindi in quel di Dolo.

Il 30 dicembre anche i ritardatari Dos Passos e Fairbanks raggiunsero il paese rivierasco, attendendo insieme al restante gruppo che “i capi…le strane e invisibili creature, dèi o demòni che agiscono dietro le quinte” decidessero sul da farsi. Durante l’attesa la Sezione n. 3 ebbe la visita del Capitano Henry B. Wilkins e del Maggiore del Dipartimento degli Affari Militari A.R.C. di Roma, Guy Lowell.

Le disposizioni tanto attese arrivarono il 6 gennaio 1918: la Sezione n. 3 sarebbe dovuta andare a Casale sul Sile. Passos e Fairbanks, però, non la seguirono. Rimasero a Dolo, senza alcuna spiegazione apparente fino al 16 gennaio, salvo raggiungere la Sezione n. 1 a Bassano del Grappa.

Così si conclude il veloce passaggio per Dolo di uno degli scrittori più noti e discussi, quale era il nostro Dos Passos, dell’America degli Anni Ruggenti. Un personaggio ed una testimonianza legata alla Grande Guerra e all’American Red Cross poco nota che meritava di essere riscoperta.

Bibliografia essenziale: Giovanni Cecchin (a ura di), “La Grande Guerra. Cronache particolari“, Collezione Princeton Ed., Bassano del Grappa 1998. Pg. 80
Altre informazioni su John Doss Passos: http://it.wikipedia.org/wiki/John_Dos_Passos

Alberto Donadel

Fango e gloria, proiezione del film a Vigonovo

fango e gloriaIl Comune di Vigonovo, in collaborazione con la Regione del Veneto, celebra il Centenario della Grande Guerra proiettando nella Sala Polivalente, alle ore 20.30, il film Fango e Gloria di Leonardo Tiberi (anno 2014 – durata 90 minuti). Fango e Gloria mischia una parte di di fiction con interessanti materiali di repertorio provenienti dall’Archivio Storico dell’Istituto Luce, sottoposti a procedimenti di colorazione e di sonorizzazione. La serata verrà introdotta dall’attore Giacomo Rossetto. L’ingresso è ibero fino ad esaurimento dei posti.

Ivan B. Zabeo

Orgogliosamente fornito da WordPress | Tema: Baskerville 2 di Anders Noren.

Su ↑