Gagliardetti della Memoria: Bucci Riccardo

Riccardo Bucci nacque a Milano il 1° settembre 1977. Le informazioni sulla sua vita le si apprendono prevalentemente dal libro scritto dalla moglie Roberta Nicora (“Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“) e da alcuni articoli apparsi sulle principali testate giornalistiche, prime tra tutte Il Gazzettino.

Il Capitano Lagunare Riccardo Bucci
Il Capitano Lagunare Riccardo Bucci

Dopo gli studi superiori, Bucci si era arruolato nel corpo degli Alpini divenendo militare di professione. La sua vita militare fu sempre in salita, partendo da Soldato semplice era divenuto in breve Maresciallo. Nel tempo libero concessogli in caserma, riuscì a studiare e a laurearsi in Scienze Organizzative.

Nel 2004 incontrò la futura moglie Roberta, cui si legò profondamente, nonostante gli impegni imposti dal suo lavoro. E’ infatti lei, nel suo libro, che racconta la loro storia d’amore, fatta di missioni all’estero di lui e periodi trascorsi assieme in Italia.

Nel 2004, per una durata di sei mesi, Bucci fu impegnato in una prima missione in Bosnia, Paese nel quale fece ritorno per un mese nel 2006; affrontato il concorso apposito, divenne Tenente presso il 6° Reggimento Alpini di Brunico (BZ). Ottenuto il trasferimento in Veneto, nella caserma del 1° Reggimento Lagunari “Serenissima” di Malcontenta, Bucci prese casa a Sambruson, dove finalmente, il 2 dicembre 2006, sposò l’adorata Roberta.

Nel 2008 partì per sei mesi per l’Afghanistan, in seno alla forza di Pace NATO cui anche l’Italia faceva parte. Tornato in Italia nell’ottobre dello stesso anno, poté passare molto più tempo in famiglia. Il 2 agosto 2010 nacque Clelia, unica figlia avuta dalla coppia; a tal riguardo, la moglie ebbe modo di sottolineare che con la bambina egli fu un padre amorevole, dolce e premuroso.

A gennaio 2011 Riccardo Bucci partì per una fase di addestramento in Valle d’Aosta, preludio di una futura missione in Afghanistan. Nonostante gli impegni lavorativi, quando ne aveva la possibilità faceva di tutto per ritornare a casa e restare il più possibile a contatto con la sua famiglia.

Riccardo Bucci, a destra, con un commilitone nella sua tenda a Herat (Afghanistan)
Riccardo Bucci, a destra, con un commilitone nella sua tenda a Herat (Afghanistan)

Il 2 maggio pervenne l’ordine di partire alla volta dell’Afghanistan, nella Provincia di Herat. Qui egli partecipò all’operazione “ISAF” (International Security Assistance Force) come supporto al Governo locale. Bucci faceva parte degli OMLT (Operational Mentoring Leason Team), in qualità di addestratore dell’ANA, l’esercito nazionale afgano. Il compito del gruppo era quello di addestrare i militari a cui sarebbe spettato il compito di garantire ordine e sicurezza in quelle terre. Da questa zona del mondo, egli riuscì a fare ritorno in occasione del compleanno della figlia, salvo dover ripartire una decina di giorni dopo.

Il 23 settembre 2011, di ritorno alla base italiana di Herat, il Lince su cui viaggiavano il Tenente Bucci, il Caporale Maggiore Scelto Mario Frasca ed il Caporale Maggiore Massimo di Legge, si ribaltò. Per i tre uomini non ci fu nulla da fare; beffa più grande del destino, Bucci sarebbe dovuto rientrare in Italia di lì a un mese.

Le salme dei tre militari vennero trasferite all’Aeroporto di Roma il 25 settembre e da qui, sempre su un C-130 dell’Aeronautica Militare, il corpo del Tenente venne trasferito a Venezia. I funerali si tennero il 26 settembre nella chiesetta di Sant’Ambrogio a Sambruson di Dolo, rivelatasi troppo piccola per l’afflusso di persone che vollero partecipare alle onoranze. Oggi Riccardo Bucci, elevato al grado di Capitano, riposa nel cimitero comunale di Dolo.

Alla memoria del Capitano Bucci, il Comune di Dolo ha dedicato un tratto di argine dell’Isola Bassa.

La consegna del Gagliardetto della Memoria a Roberta Nicora, moglie del Cap. Bucci
La consegna del Gagliardetto della Memoria a Roberta Nicora, moglie del Cap. Bucci

Fonti bibliografiche/sitografiche:

Roberta Nicora 2014: “Lettera a Clelia. C’era una volta Riccardo Bucci, tuo padre“, ed. Grafiche Antiga S.p.A., Crocetta del Montello (TV) 2014;

http://ilgazzettino.it/NORDEST/VENEZIA/incidente_in_afghanistan_dolo_piange_la_morte_del_tenente_riccardo_bucci/notizie/164120.shtml

http://www.ilgazzettino.it/index.php?p=articolo&id=164039&sez=MONDO

http://www.associazionelagunari.it/notizia_2012_09_23_dolo_cerimonia_cap_bucci.htm

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Vanzan Matteo

Vanzan Matteo nacque a Dolo il 1° ottobre 1981 ma risiedette

Il 1° Cap.Magg. Matteo Vanzan da Camponogara
Il 1° Cap.Magg. Matteo Vanzan da Camponogara

insieme ai genitori a Camponogara. Ragazzo schietto e vivace, a detta di chi lo conosceva, la sua storia rientra all’interno di quelle che accomunano ancora oggi molti giovani impegnati nelle missioni di pace all’estero. Andrea Angeli, ex portavoce della Protezione Civile, che assistette ai momenti fatali di Matteo, in un’intervista rilasciata per Il Gazzettino del 17 maggio 2014, ebbe modo di dire che “[…] spiccava perché era un ragazzone grande, io lo chiamavo il “gigante col volto da bambino” […]“.

Terminati gli studi presso le scuole medie dei padri “Rogazionisti” (zona Arcella, PD), decise di iniziare a lavorare, entrando poi a far parte del copro dei Vigili del Fuoco. Qui, tra il 2000 ed il 2002, prestò servizio di leva divenuto temporaneo l’ultimo anno. Terminato il servizio, si arruolò come volontario nell’esercito.

Conseguiti i gradi di 1° Caporal Maggiore fuciliere della 1a Compagnia del 1° Reggimento Lagunari “Serenissima” (base di Malcontenta, VE), affrontò una prima missione militare in Iraq nel 2003; si trattava della missione denominata “Operazione antica Babilonia“, avente come scopo l’invio di un contingente militare italiano in funzione di supporto alle truppe della coalizione NATO e della nuova forza d’ordine irakena. La missione durò fino a febbraio 2003, mese in cui il reparto di Vanzan fece rientro in Italia.

Matteo Vanzan insieme ad alcuni compagni d'arme in Iraq
Matteo Vanzan insieme ad alcuni compagni d’arme in Iraq

Agli inizi di maggio 2004, concluso il periodo minimo di riposo tra una missione e l’altra, fece ritorno in Iraq, a Nasiriya, sede della forza di pace italiana. Nassiriya, sede della base italiana “Libeccio“, era già stata al centro degli scontri e dell’attentato kamikaze del 12 novembre 2003, che vide la morte di 19 italiani tra militari e civili.

Il 17 maggio 2004, la situazione nei pressi del settore italiano divenne improvvisamente turbolenta. Con la base “Libeccio” sotto attacco, il 1° Rgt. Lagunari di Vanzan venne schierato a ridosso del ponte stradale affinché potesse proteggere e supportare l’azione di difesa e contrattacco italiana, lungo un percorso pericolosissimo ma di vitale importanza per la base. Sotto una pioggia di colpi da mortaio, granate e proiettili vaganti, i militari opposero strenua resistenza.

Un colpo di mortaio, tuttavia, centrò la postazione in cui si trovava Matteo Vanzan ed altri suoi commilitoni. Vi furono diversi feriti, Matteo era il più grave con una ferita all’arteria femorale. L’azione offensiva delle milizie sciite di Muqtada al-Sadr ostacolò però il sopraggiungere dei soccorsi ma, nonostante questo, con grave rischio delle proprie vite, i soccorritori riuscirono a raggiungere i feriti e a trasportarli presso l’ospedale militare italiano da campo dell’aeroporto di Talil.
Matteo venne ricoverato d’urgenza ma, causa il tempo trascorso e la gravità delle ferite, decedette poco dopo all’età di 22 anni. Matteo Vanzan venne riportato in Italia e dopo i funerali in forma solenne ed una prima sepoltura presso il cimitero di Camponogara, riposa oggi nel cimitero di guerra presenta all’interno del ben più grande cimitero cittadino di Mestre.

Il 7 aprile 2006, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la Croce d’Onore alle vittime degli atti di terrorismo o di atti ostili impegnate in operazioni militari e civili all’estero alla memoria, consegnata alla famiglia dal suo successore Giorgio Napolitano, con la seguente motivazione: “Giovane volontario dalle bellissime qualità morali e professionali, comandato in missione in terra irachena, nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia” si prodigava con grande professionalità ed efficacia per l’assolvimento della missione. Il 16 maggio 2004, impegnato nella rischiosa attività di vigilanza presso la base italiana “Libeccio” che, dislocata nella periferia di An Nassiriyah era sottoposta ad attacchi da parte di elementi ostili, veniva investito mortalmente dalle schegge di una granata di mortaio esplosa nei pressi della sua postazione, immolando così la sua giovane vita nell’adempimento del dovere. Con il suo sacrificio ha contribuito in misura rilevante ad accrescere il prestigio dell’Italia e delle sue Forze Armate in ambito internazionale, tenendo alto l’ideale di pace e solidarietà fra i popoli. (An Nassiriyah – Iraq, 17 maggio 2004)“.

Nel 2004-2005 gli venne conferito dalla Regione Veneto il “Premio Speciale per la Pace“.

Il 10 marzo 2010, inoltre, gli venne conferita, sempre alla memoria, la Medaglia d’Oro al Valore dell’Esercito con la seguente motivazione: “Giovane volontario dalle straordinarie qualità morali e professionali, comandato in missione in Iraq, nell’ambito dell’operazione “Antica Babilonia”, impegnato in un’attività di vigilanza presso la base “Libeccio”, a sud di An Nasiriyah (Iraq), veniva sottoposto a reiterati vili attacchi ostili, condotti da milizie armate locali con armi a tiro curvo. Durante uno dei predetti attacchi, mentre si esponeva, incurante del pericolo, nell’intento di individuare le sorgenti di fuoco per la successiva neutralizzazione, veniva investito dalle schegge di un colpo di mortaio esploso all’interno della base e immolava la sua giovane vita. Esempio fulgidissimo di sublime coraggio e di assoluta dedizione, cadendo nell’adempimento del dovere, ha contribuito in modo significativo, con il suo estremo sacrificio, ad accrescere il prestigio dell’Italia e della Forza armata nel contesto internazionale. An Nasiriyah (Iraq), 16 maggio 2004“.

Infine, alla sua memoria, sono oggi intitolate la Base operativa del contingente italiano in Libano nel corso dell'”Operazione Leonte“, la piazza di Camponogara, un giardino pubblico a Padova, un pontile in Comune di Torre di Mosto ed una sala del Consiglio Regionale del Veneto.

La consegna del Gagliardetto della Memoria a Enzo Vanzan, padre di Matteo
La consegna del Gagliardetto della Memoria a Enzo Vanzan, padre di Matteo

Fonti bibliografiche/sitografiche:

https://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_Vanzan

http://www.repubblica.it/2004/e/sezioni/esteri/iraq22/vanzanvita/vanzanvita.html?refresh_ce

http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/PRIMOPIANO/matteo_vanzan_militare_morto_iraq_eroe_dimenticato_venezia/notizie/695140.shtml

https://www.facebook.com/172459382819703/photos/a.804727836259518.1073741901.172459382819703/866997786699189/?type=3&fref=nf

https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Antica_Babilonia

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Terruzzin Pietro

La Medaglia d'Argento al Valor Militare Pietro Terruzzin da Vigonovo
La Medaglia d’Argento al Valor Militare Pietro Terruzzin da Vigonovo

Terruzzin Pietro era nato a Vigonovo il 17 agosto 1897 da Valentino e Sanavio Maria; della sua vita da civile si sa poco (il Foglio matricolare deve essere ancora rintracciato) se non che viveva nella casa sita in Via Sarmazza Destra n. 19; contadino di mestiere, sapeva leggere e scrivere. Era fidanzato con Nina.
Alla visita di leva, avvenuta nel 1916, gli venne assegnata la matricola n. 9.939, venendo al contempo inquadrato nel 21° Reggimento Bersaglieri.

La sua storia è stata ricostruita grazie soprattutto al fortunoso salvataggio delle lettere che ricevette la famiglia in tempo di guerra; salvataggio avvenuto all’indomani dell’alluvione del 1966.

Nelle lettere che spediva periodicamente a casa egli faceva riferimento alla possibilità di una prossima partenza, senza però tralasciare il desiderio di rivedere la famiglia, esprimendo nel contempo le difficoltà della vita militare in caserma.
Le notizie sulla partenza si susseguirono per diverse settimane. Pietro, preoccupato, chiedeva spesso ai genitori ed alla sorella di pregare per lui ma non voleva far preoccupare la sua compagna. Giunse intanto il 17 febbraio 1917, ma Pietro non era ancora partito. Ammalatosi in caserma, informò la famiglia sulla sua buona salute, indicando anche il luogo dove si trovava, affinché potessero andare a trovarlo: Ospedale Militare di Riserva di Vicenza – Seminario, 5° Reparto, letto n. 15.

Sabato 12 – 2 – 1917
Miei Cari Genitori son pronto a farvi sapere le mie notisie. Vi facio sapere che per ora mi trovo amalato nel ospitale Militare di riserva a Vicenza come lo saprete per mezo di monegazo
Voi non pensate a niente per conto di me il mio male e la febre gastrica e male alla gola altro non mi alungo a sabato vi bacio tuta intera famiglia vostro figlio Pietro, la mia direzione: al Soldato Terruzzin Pietro ospitale militare di riserva Siminario 5 reparto – lato N° 15 Vicenza

Cartolina spedita da Pietro Terruzzin dall'Ospedale di Vicenza il 12 luglio 1917
Cartolina spedita da Pietro Terruzzin dall’Ospedale di Vicenza il 12 febbraio 1917

Il 20 febbraio del 1917, rimessosi dalla malattia, venne trasferito all’8° Reggimento Bersaglieri, 9a Compagnia, 748a Compagnia Mitraglieri. In tale data egli scrisse nuovamente a casa, chiedendo al padre di poterlo vedere.

I mesi e le settimane si rincorsero, il fronte sembra a tratti vicino e a tratti lontano. Lettere e cartoline si susseguirono nel tempo fino alla lettera del 22 aprile 1917 in cui egli informò casa della prossima possibile partenza per la guerra.

Brescia il 22 – 4 – 1917
Cara Mamma
Con questa mia ti fo sapere che al spuntar della mia partenza mi ha preso un caleio di un mulo cosi tutto sospeso per farmi portare perche la mama e molto grave puo essere certo la mia fortuna non si sa. Può fino darsi che mi fermo ancora anche a casa un paio di giorni. Ieri giorno mi ricevetti le tue lettere con molto piacere intesi la vostra ottima salute a riguardo del vaglia non ho ancora ricevuto. Non mi alungo di più Col salutarti di vero quore e sono tuo figlio Pietro
Fino a nuovo ordine non scrivermi fallo sapere alla Nina
[la fidanzata N.d.A.] sta fuori.
Tranquilla che io mi farò coraggio.
Saluti a tutti

Terruzzin Pietro partì per l’Isonzo ai primi di maggio 1917. Da quel momento i suoi scritti si ridussero drasticamente, anche per via della difficoltà di reperire carta e penna per scrivere. In data imprecisata, ma sicuramente dopo lo schieramento in linea del reparto, egli scrisse la seguente e toccante lettera alla sua ragazza, poi ricopiata dopo la sua morte:

Mia adorata Nina
avendo pottuto di avere un di carta e busta, ecco che ti scrivo qualche cosa sulla mia vita, che so che desideri di sapere.
Nina cara, io lo sai che mi trovo in trincea da più giorni, e sono salvo perché Iddio lo ha voluto. Nina mia, io sono stato ferito leggermente ma se mi prendeva giusto addio Piero, ma non hanno fatto tempo. Cara Nina ti prego, mi rivolgo a te, ti prego di pregare Iddio per me, dimi qualche preghiera per me al Santo di Padova, che la mia divossione e grande, Nina ti scrivo questa lettera, ma non ho boli, perdonami se ti toccherà pagare, ma spero che la riceverai volentieri lostesso. Questa lettera tienila per memoria che l’ho scrita in trincea Nina mia non gredevo che in trincea si avesse da fare tante tribolasione..!..quanta sete quanto sono….le noti che passo qui alla veglia è la mia mente corre subito a te, e dico fra me: guarda io qui e la Nina serò là nel suo letto pacifica e beata! se sapesse dove sono io certo non dormirebbe Nina per dirti tutto devo parlarti bocalmente. Se avrò la fortuna, la mano non mi regge più […]
.
Io termino ti saluto baciandoti di cuore e mi firmo di essere il aff.mo Piero che tanto ti ama, ciao Prego Iddio per me adio, Iddio ti benedica.

Si giunge così alla X battaglia dell’Isonzo. Non sappiamo se Pietro riuscì a ritornare a casa un’ultima volta. Considerate le vicende di moltissimi altri soldati è però probabile che egli non ci riuscì. Nel corso della battaglia, esauriti i portafariti, anche lui ricevette l’incarico di recuperare e soccorrere i bisognosi, adoperandosi ovunque nonostante l’intenso fuoco nemico. Fu a quota 652 del Monte Vodice che, il 24 maggio 1917 (secondo anniversario di guerra), all’età di soli 19 anni, venne raggiunto da una scheggia di granata che lo colpì al capo uccidendolo sul colpo. Ai primi giorni di luglio la famiglia ricevette la seguente lettera datata “Zona guerra 30 – 6 – 1917“,

Preg.mo Sig,re Terruzzin,
è con dolore vivissimo che faccio seguito alla triste notizia che già le sarà giunta ufficialmente.
Io che ho avuto l’occasione di apprezzare la bontà d’animo, la calura, il coraggio del povero Pietro, posso accertarle che cadde da eroe, di fronte al barbaro nemico, durante la vittoriosa giornata del 24 maggio alla quota 692 (Vodice). Cadde colpito da scheggia di granata austriaca, poco distante da me, subito dopo che aveva medicato un compagno ferito. Noncurante del pericolo, correva sempre qua e là, dove più infuriava il combattimento, per prestare la propria opera di portaferiti; avendo sempre per tutti parole di conforto.
Povero Pietro! Tutti ti volevamo bene, specialmente io, che ti avevo spesso accanto, sulla linea del fuoco, io che ti ero superiore, ma ti amavo come un fratello! La Patria può vantarsi di simili eroi: io l’ho già proposto al reggimento per la medaglia al valor militare.
Addolorato ma orgoglioso, le invio i miei saluti cordiali
Aspirante ufficiale Francesco Bernardi
Comand.te Interinale 748a Comp. Mitragl.a 21° Regg. Bersagl.
Zona di Guerra.

La richiesta del Sottotenente Bernardi andò a buon fine e Pietro venne premiato (postumo) con la la Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “TERUZZIN Pietro, da Vigonovo (Venezia), soldato compagnia mitragliatrici Fiat, n. 9939 matricola – Unico portaferiti rimasto alla compagnia, noncurante di sè, si esponeva con mirabile ardimento, sotto il violento fuoco nemico, per soccorrere, sul campo durante l’azione, i feriti, anche d’altri reparti, finché cadde egli stesso colpito a morte. – Monte Vodice, 24 maggio 1917.

La famiglia cercò in seguito informazioni sulla sepoltura del proprio caro. Una lettera spedita da Zagomilla il 6 agosto 1917 dal Bernardi riportava la notizia che “ebbe onorata sepoltura presso Zagora, nel cimitero di guerra lungo l’Isonzo nella sponda redenta.” Questa informazione venne in seguito utilizzata dalla madre tra il 1920 ed il 1922 quando partì da Vigonovo per il vecchio fronte alla ricerca della tomba del figlio – una fossa comune in cui Pietro venne sepolto assieme ad altri due compagni – e per vedere i luoghi in cui egli cadde. Non si tratta di un caso isolato: molte madri e padri intrapresero spesso viaggi simili per cercare di capire e trovare pace.

Sappiamo, infine, che il cimitero in cui venne inizialmente sepolto Pietro venne smantellato nel dopoguerra; egli venne trasferito – come ignoto – nel cimitero di guerra di Plava dedicato al Generale Prelli ed in seguito tumulato nel Sacrario militare italiano di Oslavia.

La consegna del Gagliardetto della Memoria alla nipote Liliana Terruzzin
La consegna del Gagliardetto della Memoria alla nipote Liliana Terruzzin

Fonti bibliografiche:
Documentazione storica (lettere e cartoline) famiglia Terruzzin;
Albo d’Oro dei caduti d’Italia;
Atto di morte (Archivio Ufficio Anagrafe del Comune di Vigonovo);
sito internet: www.istitutonastroazzurro.org

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Bruno Sinigaglia

Siamo ritornati nella Seconda Guerra Mondiale e ricordiamo in questa occasione l’autiere Bruno Sinigaglia, cioè il nonno dell’autore dell’articolo. Non ho avuto il piacere di conoscere mio nonno perché una malattia se lo è portato via troppo presto, nel 1975. La storia che leggerete non intende ricordarlo solo come soldato ma anche come uomo e modello per la moglie Bruna, le quattro figlie Luigina, Rosanna, Lucia e Mariagrazia e tutti i suoi nipoti e pronipoti. La sua figura è importante per me e anche per Riviera al Fronte: perché è anche grazie ai racconti delle zie e di mia mamma che siamo arrivati a creare l’associazione e a realizzare il progetto che stiamo portando avanti, assieme alle tante famiglie di altri soldati

Bruno Sinigaglia

Bruno Sinigaglia era nato a Liettoli di Campolongo Maggiore nel luglio 1917 e aveva combattuto la Seconda guerra sul fronte jugoslavo come autiere. Non sappiamo molto di lui, le uniche informazioni sono state tramandate alle figlie Luigina, la priomogenita, Rosanna, Lucia e Mariagrazia. Bruno non era solito raccontare molto alle figlie e alla moglie perché di natura era molto riservato e chiuso; tuttavia, Luigina ricorda ancora alcuni aneddoti molto importanti che raccontano la sua esperienza al fronte.

Bruno in sella del suo cavallo a Palmanova

Appartenente alla classe 1917, Bruno fu chiamato alle armi nel 1937 e da quel momento, tra la leva obbligatoria e l’inizio della guerra, non tornò più a casa. Svolse il servizio militare nella cavalleria a Palmanova fino al 1939, restando però a disposizione dell’Esercito in quanto erano in corso le operazioni militari in Albania e in Europa stava per cominciare la guerra mondiale. La passione per i motori lo avevano salvato dalla prima linea: era un meccanico e riparava le motociclette – dopo la guerra si era comprato una Bianchi nera e una Guzzi color rosso fiammante – e mentre era in Friuli gli era stata assegnata la patente per guidare i camion e le automobili. Questo fatto lo risparmiò dalla prima linea quando il suo battaglione fu inviato in Dalmazia, ex Jugoslavia, occupata dalle truppe italiane e tedesche e sottoposta al controllo della Repubblica Croata degli Ustascia di Ante Pavelic, e in altre regioni balcaniche. Bruno era stato anche in Montenegro e questo viene ricordato anche dalle figlie perché, devoto cristiano qual era, teneva ad andare a vedere dove era nato il religioso Leopoldo, diventato poi santo, a Castelnuovo di Cattaro (oggi in Montenegro).
Bruno era un autiere delle alte cariche militari dell’Esercito e non partecipò a battaglie. Fu però vittima di un agguato assieme al colonnello che stava trasportando: durante l’occupazione militare italo-tedesca, i partigiani cercarono di uccidere l’ufficiale. Nello scontro a fuoco che ne nacque il colonnello fu ucciso, mentre Bruno si salvò.

Una svolta nella vita del soldato Sinigaglia arrivò l’8 settembre 1943: l’Italia si era arresa agli Alleati e l’Esercito era allo sbando. Una volta entrati i tedeschi per il Brennero, tutti gli uomini abili al combattimento venivano rastrellati; ai soldati italiani veniva data una possibilità di scelta: o continuavano a lottare a fianco della Wermacht oppure venivano inviati nei lager del centro Europa. Il pericolo per i soldati di stanza in Jugoslavia era doppio: oltre ai tedeschi, dovevano guardarsi le spalle e non farsi catturare dalle squadre partigiane jugoslave, alcune delle quali vicine a Tito. Per evitare di farsi catturare e combattere ancora, Bruno e tanti altri suoi commilitoni scapparono dal cuore dell’Europa per tornare a casa, forse inconsci che l’Italia era stata invasa ed era diventata un campo di battaglia. Presero un camion e si diressero verso nord, fino a quando il gasolio non si esaurì; da quel momento gli uomini furono costretti a tornare a piedi. Dal settembre 1943 la marcia per tornare a casa era stata molto lunga e terminò nei primi mesi del 1944. L’avvicinamento a casa era stato duro e nonostante qualche aiuto ricevuto dalle donne che incontravano, la fame era molta ma la sete non lasciava scampo e del numeroso gruppo scappato dalla Jugoslavia tornarono solamente in undici.

Una volta ritornato a casa, la situazione per Bruno era ancora pericolosa: la Repubblica Sociale chiedeva altri uomini da inviare al fronte. La famiglia Sinigaglia fece quadrato attorno al figlio reduce, aiutandolo a nascondersi. Durante un rastrellamento, i tedeschi arrivarono nella casa-fattoria dove abita la famiglia. Nonostante il controllo, mio nonno non fu trovato: si nascose all’interno di una mangiatoia, sotto al fieno dove mangiavano le vacche e dove i tedeschi fortunosamente non cercarono; inoltre le donne giocarono la loro parte, urlando agli occupanti che in casa c’erano solo loro considerato che gli uomini erano tutti al fronte (erano quattro cugini di mio nonno, tre dei quali risultarono poi morti e uno prigioniero in Germania). Bruno riuscì a restar nascosto fino alla fine della guerra.

Nel 1947 si sposò con Bruna a Liettoli di Campolongo Maggiore e misero al mondo quattro figlie. La famiglia si è poi allargata, arrivando a contare oggi sette nipoti e 8 pronipoti. Bruno, uomo timido e mite, dedicò la sua vita alla famiglia, al lavoro e alla sua moto e visse raccontando poco di quella che era stata la sua esperienza in guerra; ricordava però gli eventi di cui abbiamo parlato e la grande fame e la sete che con i suoi compagni aveva patito. Colpito da una malattia, morì nel 1975.

Anche Bruna era stata coinvolta nella guerra con un avvenimento molto particolare: nel 1944 i bombardieri alleati colpivano non soltanto le grandi città e i poli industriali dell’Italia del nord ma anche le principali arterie della zona. I punti principali erano il Naviglio, lungo la Riviera del Brenta, e i ponti che attraversavano il Brenta, importanti per gli spostamenti delle truppe tedesche verso la prima linea dell’Italia centrale. Durante uno dei raid la contraerea era riuscita ad abbattere un bombardiere e due paracadutisti inglesi trovarono riparo in un boschetto nella zona di Campolongo Maggiore. La nonna raccontava che, assieme ad altri componenti della famiglia, dopo averli trovati per caso portava loro del cibo. Questo finché non li trovarono più: probabilmente erano stati trovati dai tedeschi o dai fascisti.

La figlia Luigina ritira il Gagliardetto della Memoria in ricordo del padre Bruno (26 aprile 2015)

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Andrea e Cesare Brigo

Abbiamo parlato sempre di casi di soldati presi singolarmente, ma questa volta vogliamo ricordare invece due fratelli deceduti durante la Prima Guerra Mondiale: Andrea e Cesare Brigo. Prima però di procedere con le loro storie vogliamo lasciare spazio al messaggio lasciato dalla nipote Annalisa, a nome della famiglia.

Il 25 aprile 2015 è stato un giorno speciale perché siamo stati invitati dal Presidente dell’Associazione Riviera al Front, Ivan Zabeo, e dall’Assessore alla Cultura Antonio Pra, che ringraziamo sentitamente, a ritirare i riconoscimenti per i nostri famigliari che hanno combattuto al fronte nella Prima Guerra Mondiale. Nella solenne atmosfera della sala Consigliare del Comune di Dolo, alla presenza di innumerevoli autorità, con grande commozione abbiamo ricevuto i Gagliardetti per le relative campagne di guerra: per Andrea e Cesare Brigo, fratelli del nonno paterno, periti in seguito alle gravi ferite subite, e per Umberto Martellato, nonno materno, sopravissuto ed insignito di Medaglia d’Oro e Cavaliere di Vittorio Veneto per un significativo atto di eroismo. Mi pervade un grande senso di riconoscenza, per il grande sacrificio di questi ragazzi, per una guerra che forse si poteva evitare, come si dovrebbero evitare tutte le guerre! Non dobbiamo dimenticare che ci hanno lasciato in eredità un’Italia libera e democratica, che dobbiamo custodire gelosamente, affinché il loro grande sacrificio non sia stato vano.

Annalisa Brigo

Andrea Antonio e Cesare Brigo nacquero a Sambruson, figli di Luigi, contadino, e della moglie Santa Giovanna. Andrea era nato nel 1890, mentre Cesare era di sette anni più giovane.

Andrea, matricola 17702, a fu mobilitato il 1 giugno 1915 e a distanza di pochi giorni, a 25 anni, fu assegnato all’87° Fanteria, Brigata Friuli, che fu prima mandata a Bassano del Grappa e poi avvicinata al fronte isontino, a Palmanova. Il 20 agosto, per la prima volta, lui e gli altri soldati dell’unità si appostarono nelle trincee della zona di Monfalcone. Il battesimo del fuoco per i fanti del Reggimento arrivò il 12 ottobre, quando il primo battaglione partecipò ai combattimenti su quota 93.
Poco prima della terza battaglia dell’Isonzo Andrea fu inviato nel 31° Fanteria, Brigata Siena, operante a Castelnuovo. L’obiettivo della battaglia era la conquista della cosiddetta ‘trincea delle frasche’, così chiamata per via dei rami che la nascondevano alla vista dei ricognitori aerei italiani. Gli assalti cominciarono il 21 ottobre e durarono tre giorni. Solo il 23 gli italiani s’impossessarono della prima linea nemica ma si trattava di un successo effimero poiché la notte seguente furono ricacciati dai vecchi difensori. In occasione della battaglia il comandante della Brigata fu destituito temporaneamente dall’incarico: il 22 ottobre si realizzarono tre balzi in avanti, a cominciare da quello delle 10 della mattina fino a quello delle 14 pomeridiane. Visti i risultati insoddisfacenti, il comandante, Maggiore Generale Federico Pastore, decise di infrangere un ordine che avrebbe portato al quarto assalto. Dopo nuovi colpi di mano continui, con protagonista il 32° reggimento, l’intera Brigata fu portata a Palmanova per riorganizzarsi, passandovi le feste di Natale.

In previsione di una possibile offensiva austroungarica in Trentino, a marzo la Siena fu dislocata tra Grigno e Strigno, nella zona di Trento, mentre due battaglioni erano stati schierati lungo il torrente Maso e la Val Maggio. Dopo un attacco che coinvolse il 32° sul monte Carbonile e su Spigolo Frattasecca, nella zona di Panarotta, tra il 14 e il 16 aprile il comando di divisione decise di spostare la Brigata sulla linea tra Cima Manderiolo e Sant’Osvaldo. Dopo tre giorni di serrati combattimenti corpo a corpo, tra il 6 e il 9 aprile, la mattina del 16 aprile i tirolesi avviarono le prove per la Strafexpedition del mese dopo con un attacco su Sant’Osvaldo, travolgendo il secondo battaglione del 31° e costringendolo a ripiegare a Volto e poi sul torrente Larganza, in località Roncegno Terme. Secondo lo storico ed ex soldato dell’esercito austroungarico Heinz Von Lichem, le spallate austriache di aprile sull’Armentera risultarono determinanti per lo sfondamento di maggio perché fu aperta una breccia: in questo settore gli avversari sprigionarono la loro forza lungo tutta la linea del Trentino, seguendo il Brenta e l’Adige. Nella serata del 15 maggio gli austroungarici riuscirono a sfondare a Villa Ceschi, con la Siena costretta all’arretramento, svolto fino al 22 maggio, inizialmente occupando la linea Villa Hippoliti e Moschene (il 16), poi Cima Dodici (il 18) e, infine, stabilendosi a difesa di monte Civaron e a Ospedaletto.

Durante la ritirata Andrea fu ferito in modo grave: l’8 giugno partì dal fronte a causa di una anchilosi parziale del gomito destro provocata da un’arma da fuoco. Portato a Roma, restò in cura fino al 2 febbraio 1917. La convalescenza durò un anno e l’8 giugno tornava a fianco dei suoi compagni, con la Siena posizionata a Jamiano. Dopo un periodo di riposo durante l’ultima decade di luglio, tra il 1 e il 16 agosto occupava la linea di Komarje.
Non guarì del tutto dalla ferita occorsa a Ospedaletto nel giugno 1916. Il 1° settembre fu mandato in licenza straordinaria per curarsi dai postumi della ferita subita al braccio destro e della tubercolosi polmonare. La sofferenza del fante durò altri due mesi. Alle ore 16 del 19 novembre morì nella sua casa di via Alture 175 a 27 anni.

Mentre Andrea consumava gli ultimi giorni al fronte sul Carso, il fratello Cesare cominciava la sua guerra. Arruolato il 16 agosto e iscritto alla prima categoria con la matricola 21989, due giorni dopo veniva assegnato al deposito del 55° Fanteria, nella Marche, con sede a Treviso. Dopo la ritirata dall’Isonzo le forze armate italiane dovevano essere riorganizzate e Cesare fu assegnato per quattro giorni al 265° Fanteria, nella Lecce, appostatasi sulle Grave di Papadopoli, giusto in tempo per contribuire a bloccare l’avanzata del nemico che, grazie a un ponte di barche, stava superando il Piave. Il 20 novembre fu inviato nella Torino, nell’82° Fanteria, che operava a poca distanza dalla Lecce. Il mese di dicembre, passato tra Candelù e Maserada, fu di tregua non dichiarata, utile ad entrambi gli eserciti per riorganizzarsi; tra il giorno di Natale e l’inizio di febbraio Brigo e i compagni furono ritirati a Treviso per poi ritornare, tra febbraio e maggio, a presidio della zona del Sile, tra Ca’ del Negro e Salsi.

Nel primo giorno della battaglia del Solstizio (15 giugno 1918) l’82° era in prima linea e la sera gli imperiali oltrepassarono il fiume creando una testa di ponte a Capo Sile; le cose sembravano mettersi male, ma il terzo battaglione riuscì a ricacciarli; gli asburgici attaccarono nuovamente all’alba del 18, sempre nella parte presidiata dal terzo battaglione, trovando nuovamente un baluardo insormontabile. Dopo due giorni di tregua fu la volta della Torino ad andare all’attacco: lungo tutto il settore da essa controllato, la Brigata cercò di passare il Piave realizzando azioni dimostrative nel settore di Jesolo; il 22 giugno l’82° sfondava a Ca’ Massocco e riusciva a catturare 270 uomini e molto materiale bellico. L’ultima fase di scontri prima del riposo vide la Torino attaccare la Piave Vecchia, dove il campo di battaglia era paludoso e ricco di vegetazione, favorendo gli imperiali nell’allestimento di una buona linea di difesa. Nonostante tutto, la fanteria italiana riuscì, dopo due giorni di scontri, ad impossessarsi di importanti posizioni, a catturare 300 prigionieri e altro materiale bellico. La prima fase della battaglia del Solstizio si concluse con un successo ma in quei giorni la Brigata, con l’81° che stava combattendo a Meolo, perse più di 800 uomini.
Dopo essersi riorganizzata, a inizio di luglio la Torino passò alla nuova controffensiva per ricacciare le ultime sacche nemiche al di là del fiume. Il Reggimento di Brigo, nonostante il campo insidioso e inondato, grazie all’ardimento di alcune pattuglie riuscì a raggiungere Bova Favaretto. La forza della Brigata italiana era implacabile e gli austroungarici, ormai battuti, passarono il Piave sulla sponda sinistra. I soldati dalla mostrina color giallo-blu presero così posizione a difesa del tratto tra Ca’ Bressanin e il mare, ottenendo il supporto della Regia Marina. Dopo aver respinto con tenacia gli austroungarici e averli ricacciati al di là del fiume, la Brigata fu mandata in riposo a Cavallino. Le gesta della battaglia del Solstizio furono premiate con la Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Il periodo di riposo durò qualche settimana e il 13 agosto la truppa fu spostata prima a Ca’ Vianello e, pochi giorni dopo, a Badoere. La Torino era però destinata a cambiare il versante del fronte: dal Piave si passava alla Val Giudicarie. Il 1 ottobre la Brigata si collocava così sulla linea tra Monte Melino e Levanech, in attesa di passare all’attacco in quella che sarebbe divenuta la battaglia finale. Mentre sul Piave e sul Grappa le fanterie combattevano già da giorni, il 3 novembre la valle risultava ormai sgombra da qualsiasi forza nemica, ormai in rotta. Quel giorno, partendo da Comlino, la Torino conquistava senza sparare un colpo gli abitati di Lardaro, Biondo e Trone. Infine, il 4 novembre, giorno dell’armistizio, assieme agli arditi, i fanti dell’82° entravano a Mezzolombardo, mentre il Reggimento gemello proseguiva per Bolzano.
La guerra era finalmente finita, ma la vita di Cesare sarebbe proseguita per poco tempo: rimasto alle armi per terminare il periodo di ferma, fu trasportato all’ospedale militare di Roma; il 24 maggio 1920 fu riformato e mandato a Sambruson. Non guarì e morì a 22 anni il 20 luglio 1920 nella casa in via Alture.

Annalisa e Bruna Brigo ritirano il Gagliardetto della Memoria in onore dei soldati Andrea e Cesare Brigo

Fonti:

  • Diari delle Brigate Siena, Torino, Lecce, Friuli
  • Heinz von Lichem: La guerra in montagna 1915 – 1918. Il fronte dolomitico
  • Fogli matricolari di Andrea e Cesare Brigo, conservati presso l’Archivio di Stato di Venezia

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Redento Berno

Redento Berno, matricola 19749, era nato a Dolo il 20 luglio 1886. Figlio di Pietro, muratore trentenne, e di Teresa Mingardo, fu catturato durante la ritirata del Piave. Prima della guerra lavorava seguendo le orme del padre; poi, nel marzo 1916, fu chiamato a combattere.

Da quanto si apprende dal foglio matricolare, Berno non effettuò il servizio di leva con gli altri nati del 1886 perché riformato ma fu chiamato alle armi come imposto dalla mobilitazione del 23 maggio 1915. L’11 marzo 1916 fu rivisitato dai medici del distretto militare di Venezia e il 29 aprile fu mobilitato. Si presentò nel 56° Fanteria, Brigata Marche, ma la permanenza nell’unità fu breve: il 31 luglio aveva già cambiato unità e, con il ruolo di mitragliere Fiat giunse sul monte Sabotino, settore controllato a partire dal 20 maggio dal 77°, Brigata Toscana.

Fino all’aprile 1917 Berno visse alcuni dei momenti più importanti del conflitto, legati soprattutto alla conquista del monte, reso un’autentica fortezza da parte dei difensori: a partire dal maggio 1915, i difensori galiziani avevano creato un sistema apparentemente imprendibile formato da gallerie, tunnel e casematte di cemento armato per le mitragliatrici in cima alla montagna. Il sistema sfruttava al meglio il lato a strapiombo tra le quote 609 e il dente di quota 572, posizionandovi i comandi e altri vari servizi; erano stati costruiti vari nidi di mitragliatrice e di mortaio, raggiungibili facilmente grazie ai camminamenti e alle scalinate, mentre una galleria facilitava lo spostamento dei soldati dalla retrovia alla prima linea e tutte le entrate erano protette da reticolati. Il Sabotino era servito dall’elettricità e dall’acqua corrente e una teleferica lo collegava con il fondovalle. Solitamente gli italiani assaltavano sempre da nord-ovest, sul lato più favorevole, che si poteva sfruttare grazie alle gobbe sulla cresta e gli avvallamenti sul fianco. Fritz Weber, però, sottolineava che l’impianto difensivo del monte reggeva solo se gestito da una guarnigione che lo conosceva molto bene. Pochi giorni prima della VI battaglia dell’Isonzo arrivò il 37° Reggimento di fucilieri dalmati, poco esperti sulla gestione del sistema difensivo. Ecco che il forte naturale, incredibilmente corazzato, diventava allo stesso tempo vulnerabile.

Nello schema della battaglia il 77° doveva agire ai piedi del monte assieme a due battaglioni della Brigata Trapani. L’attacco scattò la mattina del 6 agosto, anticipato dal consueto bombardamento dell’artiglieria, iniziato alle ore 7. Alcune pattuglie furono mandate in avanscoperta per controllare lo stato di efficienza dei reticolati; constatato che erano distrutti, alle ore 16 il grido «Savoia!» spezzava il silenzio e dava inizio alla battaglia. La Toscana conquistò il Sabotino e alcune truppe si spinsero sull’Eremo di San Valentino e San Mauro, salvo poi essere ricacciati dall’abitato dal 23° Reggimento dalmata.

Gli austroungarici, colpiti dalla perdita del monte e della città di Gorizia, il 7 agosto contrattaccarono impegnando gli italiani in un disperato corpo a corpo ma invano, perdendo moltissimi uomini tra morti e feriti e almeno 700 prigionieri; la situazione degli imperiali si aggravò quando furono presi alle spalle dalla Abruzzi, che il giorno prima si era asserragliata a Oslavia. Il monte Sabotino era definitivamente conquistato: al secondo ultimatum di resa, i difensori dell’avamposto risposero con il lancio di granate e spari di fucile. Gli italiani diedero alle fiamme le caverne. La battaglia del Sabotino costò la vita a 6310 italiani, i feriti furono 32784 e i dispersi 12127. La Toscana perse 1400 uomini e nella notte a cavallo del 14 agosto fu ritirata per riordinarsi a Ca’ delle Vallade, a Cormons. Fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare.

Fino a metà settembre gli uomini restarono in riposo; dopo un altro breve periodo sul Sabotino, furono spostati nella zona di Nad Logem. Si era alla vigilia della VII battaglia dell’Isonzo e la Toscana entrò in scena tra il 9 e il 12 ottobre per un assalto al Veliki Hribach, nella zona di Loquizza, e del monte Pecinka. Tutte le posizioni situate nella parte occidentale del Veliki furono conquistate e il giorno di Ognissanti la cima del monte fu definitivamente presa. L’obiettivo diventava quindi il monte Fajti; gli austroungarici cercarono di distogliere l’attenzione degli italiani dalla sua conquista, impegnandoli nuovamente sul monte perduto il giorno precedente. La Brigata di Berno, vistasi minacciata alle spalle, accerchiò gli imperiali in una sacca e dopo quest’operazione, assieme al resto della truppa, puntò e fece suo il Fajti, catturando 1500 prigionieri tra cui il comandante della 55° Brigata austroungarica. Il colpo inferto fu pesante: il 3 novembre il comando austroungarico diede l’ordine di bombardare il monte e di contrattaccare. La Toscana, che nell’azione dell’artiglieria aveva subito gravi perdite, non indietreggiò e, dopo quattro giorni di scontri, costati quasi 1600 uomini, fu ritirata a Palmanova.

Passato l’inverno 1916 – 1917 Berno esaurì la sua esperienza nella Toscana e fu assegnato alla 258^ compagnia di mitraglieri Fiat alla dipendenza del 37° Fanteria, Brigata Ravenna, che, dopo 5 mesi ininterrotti di prima linea, dal febbraio si trovava nel settore di Vertojba – Merna. Emerge un dubbio quando si parla di questo frangente nella vita di Berno: il 9 aprile 1917 si sposò con Luigia Pauletto, ma non sappiamo se era in licenza a Dolo oppure se è avvenuto per procura.

Un mese dopo l’arrivo al reparto, Berno era di nuovo catapultato in combattimento. L’obiettivo della X battaglia dell’Isonzo era la conquista dell’inferno di Vertojba, posizione ritenuta inespugnabile. Dopo 60 ore di bombardamenti, tra il 14 e il 16 maggio la fanteria italiana uscì dalle trincee e cercò inutilmente di far proprie le posizioni di quel settore del fronte, perdendo 350 uomini.

Dopo le sconfitte, la Ravenna fu posizionata a Kambresko. Era pronta l’offensiva della Bainsizza e doveva impossessarsi della strada che da Chiapovano portava al monte Rokel. Il 24 agosto scattava l’offensiva e dopo violenti scontri alcuni battaglioni si attestarono su quota 895, a Ravne na Koroskem. Altrettanta fortuna non ebbe il 38°; l’avanzata, quindi, era posta tutta sulle spalle del 37°, che il 26 conquistò le alture antistanti al Volnik, a est di Berg, caduta a sua volta il 28, salvo poi abbandonarlo a causa del violento fuoco del nemico. In poche giornate furono messi fuori combattimento 1345 uomini. Il 31 agosto la Ravenna andò a riposo prima a Podresca di Prepotto e poi a Canale.

Iniziata l’offensiva austro-tedesca il 24 ottobre nella zona di Tolmino, la Brigata si trovò schierata sulla linea Koprivsce – quota 814 – quota 725. I primi assalti nemici furono respinti ma ormai il fronte di Caporetto era stato sfondato: come tutte le Brigate lungo il fronte carsico anche la Ravenna cominciò la ritirata protetta dalla retroguardia. Il 26 ottobre iniziava il percorso per raggiungere il Piave: passato l’Isonzo a Plava, raggiunse San Vito al Torre il 27; il 30, invece, era a Santa Maria di Sclaunicco. Una volta raccolti i superstiti del 38° Fanteria, sopraffatto a Lestizza, riprese la marcia e passò il Tagliamento sui ponti di Madrisio. Infine, si mise in salvo il 5 novembre dopo aver passato il Piave.

Purtroppo, però, tra i superstiti della ritirata non compariva il nome di Redento Berno: infatti fu catturato il 2 novembre. L’ultima notizia che abbiamo di lui riguarda la data e il luogo del decesso: portato nel campo di prigionia di Villach, spirò il 3 ottobre 1918 a causa di una malattia. Il suo corpo riposa nel cimitero militare del campo.

Fonti:

Diario della Brigata Toscana e della Ravenna

Per la battaglia del monte Sabotino: CARLO MEREGALLI (prefazione di Giulio Guderzo) – Grande Guerra. Tappe della Vittoria – Ghedina  e Tassotti editore, 1996, II edizione

Sito Ministero della Difesa, Onoranze per i Caduti in Guerra

Archivio Comunale di Dolo

Gianfranco Berno ritira il Gagliardetto della Memoria in onore di Redento Berno

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Smaggiato Lino

Smaggiato Lino (1923-1945) in una delleultime istantanee
Smaggiato Lino (1923-1945) in una delle ultime istantanee

Lino Smaggiato di Romeo, veterano della Grande Guerra, era nato il 25 agosto 1923 a Vigonovo. Primogenito di una figliolata di 9 bambini, veniva definito dalla madre – forse in virtù del fatto di essere proprio il primogenito – il più bello, il più alto (era alto circa 1,90) ed un ragazzo d’oro.

Prima della guerra, Lino lavorava come mezzadro per la Contessa De Lazzara, la cui villa era a Barbariga presso San Pietro di Stra. La fame a quei tempi era molta e la Contessa, oltre che con il denaro, dava a Lino anche un cesta contenente frutta e verdura perché la portasse alla famiglia…ma spesso arrivava quasi vuota!

Non sappiamo con quale reparto Lino prese parte alla Seconda Guerra Mondiale; le poche lettere da lui spedite sono a tutt’oggi ancora da trovare.

Smaggiato Lino in marcia con il suo reparto. E' visibile a sinistra, indicato dalla freccia.
Smaggiato Lino in marcia con il suo reparto. E’ visibile a sinistra, indicato dalla freccia.

Di lui le notizie si perdono fino al 1945 quando cadde prigioniero dei tedeschi venendo condotto in un non meglio identificato campo di concentramento in Germania ove morì di fame e di stenti, assistito da un prete, il 21 febbraio 1945.
Quando la notizia della morte giunse in Municipio, si attese che il fratello Pietro, di cinque anni più giovane, partisse per il militare; solo allora la morte di Lino venne comunicata alla famiglia.
Nel frattempo, nella famiglia, a lutto non ancora reso noto si era sommato il lutto per la perdita di Antonietta, sorellina di Lino, che morì all’età di sette anni a causa di una scheggia di una bomba d’aereo caduta in prossimità dell’argine di Galta.

Smaggiato oggi riposa nel Cimitero militare italiano d’onore di Amburgo, nel riquadro tombale n. 3, fila L, tomba n. 20. Per anni, dopo la sua morte, l’A.N.C.R. andava a far visita alla famiglia, portando qualche omaggio, ma mai seppe dire dove Lino era sepolto. Solo un cippo nel parco della rimembranza di Vigonovo ne ricorda la figura.

Flornda Marina Veller ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Smaggiato Lino
Florinda Marina Veller ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Smaggiato Lino

 

Fonti:

  • Documentazione fotografica e memorie orali famiglia Smaggiato

Alberto Donadel

Gagliardetti della Memoria: Ferruccio Boschetti

Ritornando a parlare dei soldati che abbiamo ricordato durante la cerimonia di consegna dei Gagliardetti della Memoria, parliamo ora della storia di Ferruccio Boschetti. Prima di farlo, pubblichiamo il ricordo che Fernanda Giantin, nipote del Tenente, ci ha rilasciato.

LA MEMORIA VA COLTIVATA COME IL CONTADINO COLTIVA LA TERRA

Ferruccio era il fratello più giovane della mia nonna paterna Lavinia, figura fondamentale per la mia educazione fin dall’infanzia. La memoria per lei era un culto perché dà identità e appartenenza. Come fa un paese, una famiglia a dimenticare la sua storia, a non sapere chi siamo e di quali esempi ci nutriamo? La memoria va coltivata con amore come il contadino coltiva la terra, la rivolta, la concima; darà i frutti alle nuove generazioni. Alla mia nascita Ferruccio non c’era più da vent’anni. C’era la sua immagine e nel tempo il ricordo continuo di lui, delle sue virtù civili e militari, è entrato nella mia mente e nel mio cuore. Sapeva esprimere con facilità il suo affetto verso la famiglia. Lavinia mi leggeva i pensieri con cui accompagnava le foto che inviava dal fronte; manifestavano grande sensibilità, serenità e senso del dovere. Ma per il Centenario della Grande Guerra, il suo non sarà solo un nome sconosciuto scolpito sulla lapide dei Caduti di Arino ma una storia viva raccontata con passione ed impegno dai ragazzi dell’Associazione Riviera al Fronte. Si compie quanto la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano promesso a Ferruccio sul memoriale del trigesimo: “Resterai tu obliato nel dì che verranno? Non pensarlo!”. Ma mai avrebbero immaginato che dopo un secolo la sua vita e il suo sacrificio fossero raccontati alla gente della Riviera del Brenta, a chi frequenta Internet e che in suo onore fosse consegnato alla nipote il Gagliardetto della Memoria. Le nonne e la nipote ringraziano.

Fernanda Giantin

Vigonovo, 7 agosto 2015

Ringraziamo quindi Fernanda che, grazie alla sua passione per la Storia e l’amore nei confronti dei suoi parenti che andarono al fronte, ha conservato del materiale importante, composto di foto e manoscritti, prestatoci per raccontare la vita del tenente Ferruccio Boschetti, matricola 1308 e poi 20982, figlio di Giovanni Battista e di Augusta Fabris, Medaglia d’Argento al Valor Militare durante la Grande Guerra e reduce della campagna di Libia, disperso durante la battaglia di Monastir del 1916.

Ferruccio Boschetti in abiti civili. Appena sopra al braccio sinistro si puà intravedere una piccola medaglietta d’argento. Fu conquistata nell’anno 1900 a Siena, in occasione di una gara di scherma organizzata dall’Esercito

Il registro di leva contenuto nell’Archivio Comunale di Dolo indica che Boschetti era nato ad Arzergrande, Padova, il 29 aprile 1878. La famiglia era originaria della Liguria e una volta adulto Ferruccio tornò a Molassana, Genova, dove trovò lavoro come impiegato e creò una famiglia, allevando due figli; la madre Augusta e la sorella Lavinia restarono invece nel Veneziano, la prima ad insegnare alla scuola elementare di Arino, la seconda a Vigonovo. Boschetti aveva combattuto in Libia nel 1911-12, ottenendo i primi gradi e venendo promosso fino ad essere sottotenente.

Con l’inizio della guerra contro l’Austria-Ungheria Boschetti fu richiamato e assegnato a vari battaglioni della Milizia Territoriale per via dell’età. Non partì da solo: con lui c’era l’inseparabile macchina fotografica, utilizzata nei momenti di tregua. Le foto originali, datate e segnate con il luogo dove furono scattate, sono arrivate ai giorni nostri e Fernanda ci ha permesso di pubblicarne qualcuna.

Ferruccio Boschetti sul monte Novegno, inverno 1916

Boschetti passò la prima parte del conflitto sull’altopiano di Folgaria, sul Sommo Alto, per lavorare alla fortificazione e al presidio dell’area. All’inizio del 1916, invece, giunse in Trentino anche la Brigata Cagliari, alla quale il battaglione di Boschetti fu aggregato fino alla campagna di Macedonia. La Cagliari fu chiamata a presidiare il settore di Tonezza a febbraio, tra i monti Maronia, Coston e Soglio d’Aspio, e fino all’inizio della Strafexpedition il fronte fu posto in sicurezza senza grossi problemi. Il più grande nemico in quell’inverno infernale erano il gelo e le valanghe: una foto scattata nel marzo 1916 (a fianco) mostra gli effetti della grande nevicata che aveva investito il monte Novegno. Incredibilmente, le baracche di entrambi gli schieramenti furono adombrati da mura di neve alte fino a 5 metri.

Il 15 maggio gli austroungarici balzarono all’assalto alla prima linea italiana sull’Altopiano di Asiago. In seguito al bombardamento dell’artiglieria, la fanteria imperiale dilagò in Costa d’Agra, aggirando le forze italiane. Il terzo battaglione del 64°, a difesa del Tre Sassi, fu accerchiato e catturato, non senza lottare, mentre il primo battaglione riuscì ad evitare la stessa sorte sul Soglio d’Aspio, riuscendo a raggiungere con i superstiti Coston d’Arsiero. Questo luogo diventava la linea di non ritorno e consapevoli di questo la Cagliari impose le proprie armi su quelle nemiche, rallentando così la corsa austroungarica alla pianura.

Ferruccio Boschetti in divisa

Mentre la Cagliari veniva riorganizzata in seconda linea a Chiuppano, gli asburgici avanzarono mettendo sotto assedio il Novegno, in particolare i monti Spin e Brazome. Fu proprio su quelle posizioni che la Brigata di Boschetti fu schierata per la difesa dell’estremo baluardo d’Italia. Se nei giorni precedenti l’azione offensiva aveva disgregato la retroguardia e provocato gravi danni, nella seconda parte della Strafexpedition i difensori italiani riuscirono a resistere con audacia. La battaglia del Novegno proseguì fino alla metà di giugno, fino a quando l’Alto Comando austroungarico ordinò la fine delle operazioni e il ripiegamento su delle posizioni più difendibili. Tra le giornate più dure da ricordare c’è quella del 12 giugno, quando all’alba l’artiglieria imperiale iniziò a tirare contro gli italiani sui monti Giove, Novegno e Passo Campedello. Dopo alcune ore di fuoco martellante, il 3° e il 4° Kaiserjaeger balzarono fuori dalle trincee per impossessarsi di quelle avversarie. In due giorni, asburgici e italiani lottarono in furiosi corpo a corpo che aveva come risultato la vittoria di quest’ultimi. Il 14 giugno gli aggressori diedero sfogo alle ultime forze, l’ultimo tentativo per sfondare e conquistare così Schio e la Pianura Padana. La fanteria italiana, rimasta senza rinforzi e allo stremo delle forze, riuscì a resistere ancora una volta per altri due giorni. Boschetti osservava lo svolgimento della lotta dall’osservatorio del Rivon, da dove le batterie colpivano le truppe imperiali allo scoperto. L’Italia aveva vinto e la Cagliari era stata lanciata all’inseguimento dei fuggiaschi. Prima di abbandonare l’Altopiano dei Sette Comuni, le truppe occupavano Pria Forà, monte Brazome, monte Aralta e Roccolo dei Sogli, controllando le cime fino al 26 luglio, quando i fanti furono ritirata per rifiatare a Schio, in attesa di partire per la Macedonia.

bomba inesplosa
Ferruccio Boschetti e una bomba inesplosa austriaca sul Monte Novegno, giugno 1916

Il Novegno era stato completamente devastato e bucherellato dall’artiglieria asburgica. Gli ordigni inesplosi restavano là, in attesa di essere disinnescati e spostati. La foto a fianco mostra il sottotenente Boschetti su uno dei proiettili in questione.

Negli stessi giorni inviava a casa altre fotografie, una che ritraeva i suoi coraggiosi commilitoni. Dietro ad una di queste aveva scritto:

Ferruccio Boschetti, a destra, con i suoi commilitoni. Giugno 1916

«Ragazzi generosi, umili, figli di contadini, coraggiosi e forti che hanno sopportato la fatica, il freddo, la fame, il sonno e le sofferenze di ogni genere».

Dopo le fatiche della battaglia di Asiago, la Cagliari era destinata al fronte macedone. Prima di partire, però, a Ferruccio era stato concessa una settimana di licenza per rivedere i propri cari. Il periodo però non era abbastanza: dopo esser stato per cinque giorni in quarantena al distretto sanitario, in pochissimi giorni riuscì a salutare, per l’ultima volta, l’adorata moglie e i figli a Molassana e la madre e la sorella in Riviera del Brenta.

L’8 agosto iniziarono le attività di imbarco a Taranto per il fronte balcanico. Il trasporto della Trentacinquesima divisione e del resto del corpo di spedizione italiano nei Balcani durò quasi una settimana, con l’Adriatico infestato dagli U-Boot. Boschetti e il suo contingente arrivò salvo sull’altra sponda e in una lettera descrisse Salonicco, la città portuale dove sbarcò:

«E’ una città meticcia. Convivono Cristiani, Mussulmani ed Ebrei divisi in distretti come villaggi all’interno di una città e riconoscibili solo dal differente colore dei turbanti: bianchi per i seguaci dell’Islam, gialli per gli ebrei e blu per i cristiani. È convivenza che dura da cinquecento anni! Il panorama si presenta con alti minareti, cipressi, cupole e le eleganti residenze ottomane.

Sopravvivono i resti dell’Arco trionfale del tetrarca Galerio (fine del III – inizio del IV secolo) – 1915 l’archimandrita di Salonicco, massima autorità religiosa cittadina della Chiesa greco-ortodossa, è ospitato a bordo di una nave da guerra britannica per protezione.

Belli i nostri giovani soldati e ben vestiti; sono stati molto festeggiati ed ammirati quando sfilarono per le vie di Salonicco».

Le truppe della Cagliari dovevano combattere su un terreno molto difficile, non molto diverso da quello dell’altopiano di Asiago, anche se molto più secco e paludoso. Inoltre, si manifestavano le malattie che avevano colpito le truppe italiane in Albania, con diverse vittime: molti si ammalarono e allora il comando corse ai ripari consegnando ai soldati il chinino.

Il 27 agosto la truppa occupava il settore Akeeklise – Sarigol e ai primi di settembre controllava il settore di Krusa Balcan, fra il lago Dorjan e il forte di Dova Tepi, dove era chiamata a realizzare lavori difensivi. Il 19 ottobre i combattimenti entrarono nel vivo quando le truppe alleate decisero di sfondare a Monastir, con il comando delle operazioni guidato dai francesi. Passata la prima parte dell’autunno, la guerra sul fronte balcanico iniziava a prendere una strada ben definita: le truppe italiane sostituirono la Diciassettesima divisione francese sull’altopiano di Monastir, a 2000 metri di altezza, dove la neve era già abbastanza alta e si viveva in condizioni disperate, a dieci gradi sotto zero. Il 15 novembre iniziava il movimento e la Cagliari occupava il dente di Velusina e il colle di Ostrec. La battaglia entrava nel vivo il 17 novembre, quando l’artiglieria tedesca e bulgara martellarono la prima linea alleata. Era un tentativo estremo, ma inutile, di bloccare l’offensiva dell’Intesa, compiuta il 19 novembre con la conquista di Monastir. La Cagliari fu insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare e della Croce Francese con Palma.

Tra i primi caduti di quell’offensiva c’era anche il sottotenente Boschetti, colpito in pieno da una bomba. Il suo attaccamento ai suoi sottoposti e il coraggio fu sottolineato nella motivazione per cui gli fu concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare:

«Costante esempio di valore, durante un forte bombardamento nemico mantenne alto il morale dei propri dipendenti e mostrando animo invitto e sprezzante del pericolo, sulla prima linea sdegnava qualsiasi riparo, finché cadde sul posto colpito al petto da una scheggia di granata». (monte Velusina – Macedonia – 17 novembre 1916).

A distanza di poco più di una settimana, a Morassana e ad Arino giunse la notizia della scomparsa del povero Ferruccio. Il tenente colonnello comandante la 35° Divisione, M.L. Cravosio, scrisse alla moglie una lettera toccante, datata 27 novembre 1916:

«Con sommo dolore, comunico alla S.V. che suo marito sottotenente Boschetti Ferruccio, il 17 corr. cadeva gloriosamente colpito da granata nemica.

Conoscendo le preclari virtù dell’eroico Sottotenente, è stato promosso ufficiale per merito di guerra.

Assicuro la S.V. che farò tutto il possibile perché l’eroismo di suo marito non venga dimenticato affinché una meritata ricompensa possa lenire il dolore di tutta la famiglia.

Nel compiere il doloroso dovere, le porgo le mie condoglianze e quelle degli ufficiali tutti del reggimento e le assicuro che ciò che apparteneva al compianto suo marito le sarà rimesso a cura del deposito di questo reggimento.

Il Ten. Colonnello

Comandante Int. del Reggimento

M.L. Cravosio»

Dopo la scomparsa di Ferruccio, la madre e la sorella vissero con il dolore di non poter più vedere il loro amato congiunto e di non poter piangere sulla sua tomba; ma restava incancellabile e tramandato di generazione in generazione il ricordo e l’orgoglio di aver dato un figlio al servizio alla Patria, distintosi per l’onore e il coraggio. A pochi giorni di distanza dalla triste comunicazione, la madre Augusta e la sorella Lavinia avevano dedicato un memoriale.

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Il nome del tenente Boschetti è stato ricordato in testa al monumento dei caduti di Arino. Al momento della scomparsa aveva 38 anni.

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Fernanda Giantin ritira il Gagliardetto della Memoria in memoria di Ferruccio Boschetti

Fonti:

  • Ricordi famigliari appartenenti alla famiglia Giantin;
  • Diario della Brigata Cagliari
  • Per la Medaglia al Valore: Istituto del Nastro Azzurro

Ivan B. Zabeo

Gagliardetti della Memoria: Chino Guglielmo

Guglielmo Chino: soldato semplice, caduto della Grande Guerra, parente di Andrea Cecchi, socio fondatore di Riviera al Fronte che ci ha consegnato le lettere scritte dal prozio alla famiglia e una foto.

Il soldato Guglielmo Chino

Il soldato semplice Guglielmo Chino, matricola 12912, apparteneva al 25° Reggimento Fanteria, Brigata Bergamo, era figlio di Maurizio e di Angela Scappin. Era nato a Dolo il 20 novembre 1884 in via Campo Pelà, allora vicina all’area di via Dauli, molto probabilmente nella zona dove oggi sorgono ‘Dolo 2000’ e il parcheggio del cimitero.

All’inizio della guerra, il nostro concittadino fu uno dei primi a essere richiamato alle armi: dopo l’arruolamento del 1 giugno, a luglio venne assegnato al 113° Fanteria che, assieme al 114°, componeva la Brigata Mantova. Prima di partire per il fronte, il 3 giugno Guglielmo si era sposato a Dolo con l’amata Annetta Zorzan, destinataria delle lettere che leggeremo fra poco.
Fino a metà estate 1915 il Reggimento prestò servizio in Val Lagarina, svolgendo azioni militari sul monte Baldo, a Crosano, presidiando la Vallarsa. A metà ottobre furono invece svolte importanti azioni militari culminate dal successo su quota 912, a nord-ovest di Brentonico, che portarono alla conquista dei ruderi  del castello e all’occupazione delle relative alture a nord-est della posizione e al respingimento di tutti i contrattacchi nemici. Il 1915 si chiuse con le operazioni per l’occupazione della linea Mori Nuovo – quota 163, sulla destra del fiume Adige, e con il rafforzamento delle posizioni di Madonna di Monte Albano.

All’inizio della Strafexpedition (maggio 1916), il 113° ebbe ordine di ritirarsi su posizioni difendibili, riuscendo così a resistere agli attacchi avversari. Dopo aver sventato con i propri commilitoni i tentativi di aggiramento sulla destra dell’Adige, Chino fu destinato al comando di Sacile e il 3 agosto 1916 assegnato al 25° Fanteria, Brigata Bergamo, che si trovava sul settore di Santa Lucia e di Santa Maria, senza però partecipare alle cruciali battaglie dell’Isonzo. Per circa un mese, dal 23 novembre al 14 dicembre, il 25° rimase in riposo tra Fauglis e Prepotto.E’ da questa parte del fronte che Guglielmo scrisse ad Annetta; la lettera in questione è datata mercoledì 24 agosto. È stata trascritta come sull’originale.

“Mia adorata moglie,
Subito ti do mie buone notizie come siamo stati intesi. Ora la mia salute e buonissima cosi spero dite e miei cari bambini. Dunque caro mio tesoro tu dici che tuo fratello e 17 giorni che non sapete nulla di lui sai bene che si troverà più al sicuro di me e per questo non devi appasionarti. Piu che mi dispiace che tua mama a poco bene ma spero che presto stara meglio. Dunque mia cara Anetta devi sapere che mi trovo in trincea ancora dal secondo giorno che siamo rivati e non si sa quando si avrà il cambio qui si mangia una volta ogni 24 ore ti dano umpo di caffè fredo ti dano umpo di pasta e riso come la colla mezza tassa di vino, ogni 2 giorni ti dico cose del l’altro mondo. Poi nella trincea e va pregare Idio che non piova perche ai laqua sopra e anche sotto sono 6 gioni che siamo immezo al fango perche piove sempre. Dunque mia cara anetta quello che ti recomando che non ai da pasionarti per certe cose tu devi pensare al tuo amore che si trova esposto al pericolo. Qui per ora non ce avanzate ma ci sono tutte le sere attachi e contro attachi. Basta mia cara Anetta altro non posso dirti perche con questi tagliani Non si puo parlare tanto. Ieri o ricevuto notizie da mio nipote Rodolfo dice chea ricevuto la mia fottografia midice che sta bene. Da mio Nipote Ernesto non o ricevuto neancora notizie. Delle tue lettere Neo ricevuta una solo.Guarda che miano tagliato li Capelli Perche in trincea sifa li pidocchi come lio gia Presi, ti metto dentro questo grupetto di Capelli. Quando mi scrivi manda pure sensa bolo. Allora Termino il mio scritto col baciarti te e figli e fatti coraggio come io. Ciao mia Anetta speriamo che tutto vada fenito e allora tornero a casa e si baceremo como si abbiamo sempre baraciato coi nostri cari figli. Tu tesei sognato e Pure anchio 2 volte. saluta tutti Baci ai bambini e a te stretti Bacioni. Dal Tuo Primo Amore. Marito Chino Guglielmo
Ciao
scrivi sempre
Baci e Baci”

Guglielmo soffriva molto la distanza da casa ed era triste sapendo che la moglie non godeva di buona salute dato che era in attesa di un intervento chirurgico all’ospedale di Dolo. Il 9 settembre Guglielmo scrisse:

“Ti dico che non stia pensare perche altro che pensare io non facio che piangere giorno e notte nonso chi sia quel barbaro uomo che non penza alla sua diletta famiglia, moglie e figli io o sempre pensato e sempre pensarò fino che saro questa posizione perche io non volto li ochi se non penso a te. Io la mia vita non li facia calcolo fino a che sono in prima linea e se avro la fortuna di campare pensero a sempre fino a quel giorno che potro venire a casa abbracciarti te e miei cari bambini”

Pochi giorni dopo la coppia ebbe modo di incontrarsi a Sacile grazie a due giorni di licenza concessi a Guglielmo tra il 12 e il 13 settembre. Un momento indimenticabile e che il soldato ricorda in chiusura della lettera del 17 successivo:

“Non penzare mai il male che io sto bene adio mio amore dali baci ai nostri cari bambini e prega perme. Quest ogi mentre faceva un pisolo sono vicino a Sampieri mi sono sognato dite non puoi maginarti quando mi sono svegliato pensavo quella note che abbiamo passato a Sacile. Basta Coraggio sempre Ciao Baci”

Grazie alla frequente corrispondenza con il marito, Annetta approfittava per chiedere informazioni su altri compaesani che non scrivevano più a casa. Guglielmo riusciva a comunicare molto con Dolo, anche se riceveva le lettere in ritardo. La scrittura era facilitata anche dai momenti di stasi del conflitto; altri soldati facevano mancare proprie notizie per mesi e le famiglie erano costrette a rivolgersi al Sindaco del paese, che scriveva ai comandi del Reggimento di appartenenza. Venerdì 13 ottobre Chino scrisse:

“Cara mia moglie guarda per ricevuto 5 lettere tutte suna volta per 2 ore o sempre letto. o inteso che vuoi sapere se nino Gambero lovisto nel venire o se andare io lovisto quando sono venuto giu dal fronte di Gorisia e poi non lo piu visto io son uno fronte e lui povereto si trova sun naltro io avrei molto piacere che non fosse Morto. o inteso pure di Augusto Carraro e anche di Costante sono molto dispiaciuto”
Nella stessa lettera, Chino comunicava che le condizioni della truppa erano migliorate: “dunque adesso fra un giorno o 2 vado ancora in trincea perche adesso sifa 6 giorni in trincea e 6 giorni in montagna a lavorare di barache per ripararsi del laqua e galerie per ripararsi dell canone nemico.”

Tra i colli del Santa Lucia e di Santa Maria l’inverno si stava avvicinando velocemente e le condizioni atmosferiche stavano peggiorando gradualmente. Il vero nemico dei fanti non era il soldato austroungarico, anch’egli costretto a vivere in condizioni pessime, ma il freddo, la neve e l’acqua, sia quella che cadeva dal cielo in gran quantità sia quella da bere che non arrivava mai. Il 1° dicembre 1916, alle ore 11, Guglielmo scriveva:

“Dunque mia cara Anetta non ti posso dire la vita che abbiamo fatto la notte del 22 venindo al 23. Siamo venuti su da una montagna con vento pioggia e neve non sevedevimo uno col laltro era tanto dura siamo rivati su alla mattina tutti disvigurati stanchi erimo tutti coperti di neve e fame. poi per venire qui dove si troviamo adesso abbiamo caminato 2 giorni Poi non si poteva piu andare avanti e ora anno chiamato piu di 100 autocarri fino che mi ano portato qui. Adesso siamo nei dintorni di Palmanova qui si starebe bene ma tutto il giorno mi toca fare le strusioni e mi dano anche pocho da bere ma per questo siamo tutti contenti perche siamo al momento siguri della nostra cara vita. Mia cara Anetta quanti pidochi cheo butato via in questi pochi giorni era pieno come una bestia. dunque qui si spera che prima di andare sun naltro fronte possa mandarne tutti in licenza che siamo qui che la bramiamo come il pane che simangia e poi siamo contenti di partire subito almeno che posiamo vedere ancora.”

La speranza della licenza tanto agognata rimase: dal 15 dicembre fino all’inizio della decima battaglia dell’Isonzo, combattuta nel maggio 1917, il Reggimento di Chino venne incaricato di presidiare le posizioni del Monte Debeli. La stanchezza della guerra cominciava ad affiorare e nemmeno i giorni di festa servivano a distrarre i soldati. Scriveva Guglielmo il 12 aprile:

“Mia anetta tifaccio sapere che mia domenica giorno di Pasqua e venuto Nostro nipote Rodolfo a trovarmi in trincea, ma sia fermato pocho tempo perche quelli barbari tedeschi a cominciato apprire un tremendo fuocho e io subito lo fatto scapare dalla trincea di fiancho. E io Poveretto sono stato la in trincea e mie venuto da piangere vedermi in merso nel fuocho. Basta mio amore anche questa volta lopasato per il bucho della chiave ma non ti posso dire li spaventi di questi 20 giorni sempre sotto al fuocho nemico. Mia cara Anetta te avreai da contare tanto ma sai bene che passano la censura. qui dove mitrovo Ho attrovato Mario del Caffe Comercio e anche Alesandro che era da Salmasi, tisaluta tanto. Mio tesoro tu Parli sempre della mia licenza tu ai tanta raggione ma devi sapere che in questo Reggimento nemanda via tanto. Pochi, ma adeso vicino che in questi 40 giorni mandano tutti. Basta che le cose vada tutto per bene e cosi vera il mio turno anche per me. Dunque o inteso amore di Ernesto io ho gia scritto salutelo tanto Rodolfo vimanda Baci a tutti.”

Purtroppo Chino non vedrà mai la licenza perché era in fase di preparazione la decima battaglia dell’Isonzo. Il 23 maggio la Bergamo fu mandata alla conquista delle trincee del Monte Flondar e delle posizioni sul’altura denominata quota 92. A metà giornata gli italiani conquistarono la prima linea nemica ma in serata furono costretti a retrocedere a causa della controffensiva austroungarica non solo da quella appena conquistata ma anche da quella di partenza, lasciando sul campo oltre ai morti, ai feriti e ai dispersi, anche quasi un migliaio di prigionieri. Il giorno successivo la Brigata tornò all’attacco e questa volta gli imperiali capitolarono sulle quote 92 e 43. L’avanzata proseguì: assieme alla Gaeta, il 25° occupò la linea difensiva di Flondar, nonostante il tiro dell’artiglieria e il fuoco di mitragliatrici e di bombe provenienti dal cielo da parte dell’aviazione nemica.

Chino morì nel primo giorno dell’offensiva, il 23 maggio, non si sa se nell’assalto per la presa della prima linea o nel momento della ritirata. Essendo caduto nella zona di quota 144 è molto probabile che il suo corpo fosse stato sepolto in uno dei cimiteri della zona. Poi, con la risistemazione dei campi santi e con la formazione dei sacrari di Redipuglia ed Oslavia in periodo fascista, la croce andò perduta e il corpo tumulato assieme a quello di tanti altri soldati ignoti.

Fonti:
Lettere appartenenti alla famiglia Cecchi
Archivio Comunale di Dolo
Foglio matricolare, Archivio di Stato di Venezia
Diari delle Brigate Mantova e Bergamo, ritrovati in internet

Ivan B. Zabeo

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