Don Antonio Andreazza è stato parroco di Sant’Anastasio di Cessalto di Livenza, dal 1935 al 1953. Valentina Volpe Andreazza ne è la pronipote.
Anche lungo le rive venete del fiume Livenza non manca atti di eroismo, in mezzo a conflitti e a enormi perdite di vite umane. Tra il 1943 e la primavera del 1944 riesce a mettere in salvo un numero imprecisato di prigionieri di guerra, riusciti a scappare dai campi di lavoro tedeschi di Monfalcone.
Organizza un vero e proprio centro di smistamento per salvarli e farli ritornare dalle loro famiglie, nei Paesi d’origine, ottenendo appoggio dalle famiglie contadine che abitavano nei dintorni della Canonica.
La sua famiglia abitava a Sacile. Il 1 aprile del 1944, i nazi fascisti, avvertiti da una spia, lo arrestano e lo rinchiudono a Venezia, nell’Isola di San Giorgio, con l’accusa di aver falsificato documenti per far espatriare i prigionieri.
Dopo aver subito torture ed umiliazioni, grazie all’aiuto dell’avvocato Marinoni di Venezia la pena viene commutata in un anno di reclusione presso l’ospedale psichiatrico di San Servolo.
Nell’aprile del 1945 viene liberato e ritorna a Sant’Anastasio. I parrocchiani lo celebrano con le campane a festa. Don Antonio, stanco e debilitato per le torture sia fisiche che psicologiche subite durante la detenzione, continuerà la sua opera di Parroco, concludendo i lavori della chiesa parrocchiale e impegnandosi anche nel sociale del proprio comune.
Muore nel 1953 a 48 anni.
La storia di don Andrezza viene ripercorsa da Arch Scott, un ufficiale neozelandese salvato dalla prodiga opera del parroco di Sant’Anastasio. In onore del suo salvatore, Scott chiama il figlio Don Anthony, tornato a Sacile più volte per portare un fiore sulla tomba del suo benefattore.
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